Il cinema è poesia con “Pinocchio”

"La favola più amata prende vita", così si legge sulla locandina del nuovo capolavoro di Matteo Garrone. Un cast perfetto per una sceneggiatura aderente nei dettagli al testo di Collodi
ANSA/UFFICIO STAMPA

Come è cambiato Matteo Garrone nel suo Pinocchio. La favola che egli racconta nei dettagli, sottacendo quasi nulla del testo di Collodi, ha certo il lato dark – ben visibile in certi cieli corruschi, caravaggeschi, in marine rabbrividenti –, ma si apre a pleniluni bellissimi e a giorni di pieno sole ricchi di luce. E di poesia, che traspare non solo dalle citazioni pittoriche i Macchiaioli e i secentisti in certi interni – ma soprattutto dal sentimento di tenerezza, di affetto che lega Geppetto – un grandissimo Roberto Benigni al burattino, ossia il senso di essere padri e di capire di essere figli.

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Un film sull’amore, in realtà. La scoperta della figliolanza e della paternità in mezzo agli inganni e al male. Alcune figure, il Mangiafuoco bonario di Gigi Proietti, i malefici Gatto e Volpe della coppia surreale Papaleo-Ceccherini, il cinismo dell’Uomo di burro, sono figure dei vari aspetti dell’inganno che il regista sottolinea con un’arguzia anche crudele. Senza togliersi la voglia dell’umorismo, come la gran donna-lumaca con i giochi di voce, i medici, i becchini ed inondando poi il tutto con la presenza affettuosa della Fata Turchina, un personaggio materno e misurato.

Ma lo sguardo di Garrone si apre anche sul mondo povero di fine ’800 in Toscana: casolari, osterie, maestri punitivi, ragazzini indisciplinati – la figura davvero perfetta di Lucignolo , pastori e greggi pescatori. Spesso affamati, come Geppetto. Un mondo che, forse, il regista vorrebbe dire, non è solo del passato, ma anche attuale.

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Su tutti spicca il burattino, un sorprendente Federico Ielapi. Ingenuo e fragile, incantato e bugiardo, indisciplinato e coraggioso. E felice come nella gran corsa attraverso un campo per annunciare al padre di essere finalmente diventato un bambino.

La tenerezza che il regista prova e ci fa provare verso questa creatura che è specchio dell’infanzia in ogni suo aspetto è visibile ad ogni passo. È una creatura che Garrone accompagna attimo per attimo con sapiente discrezione, scioltezza e senza sentimentalismi. Il film insegna che dopo la fatica e il dolore si può aprire un futuro luminoso. Si commuove il regista di Dogman davanti a Pinocchio che è un po’ come tutti noi, grandi e piccoli. Garrone lo racconta con la poesia semplice della narrazione, infilandoci attimi di speranza e qualche ben nascosta lacrima.

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