Cinema italiano alla riscossa
Escono nel weekend ben tre lavori di giovani autori. Originali, a testimoniare la creatività sempre presente nel Belpaese.
Le quattro volte
L’opera prima del milanese Michelangelo Frammartino, accolta con applausi a Cannes, è una visione molto poetica e commossa, ma anche assai scabra, della vita che sempre si rinnova. Dagli ultimi giorni di un anziano pastore calabrese, che muore mentre nasce un capretto, allo smarrimento del piccolo animale e alla sua morte sotto un grande pino; dall’abbattimento di questa pianta per diventare albero della cuccagna paesana alla carbonaia fatta con tronchi in questo villaggio sperduto e aggrappato sui monti. Un film di fantascienza senza effetti speciali, perché questi sono dati dal trascorre del tempo che il regista filma con amore ritroso, senza commenti e indulgimenti sentimentali. I colori delle stagioni, il vento le nebbie il fumo sono altrettanti personaggi di un lavoro che potrebbe esser intitolato “le opere i giorni” di una comunità arcaica. Qui la morte e la vita, il dolore e la festa non hanno nulla di drammatico, ma sono naturali come l’ambiente.
Il film è pressoché muto, ma le cose gli animali la natura parlano il linguaggio eloquente della loro stessa presenza. Un’opera originale, diversa dal consueto. Nostalgica, profondamente misteriosa su quattro vite che si intrecciano, seguite dalla macchina da presa come altrettanti personaggi che non recitano, ma incarnano dal vero, il pezzo di storia che gli appartiene. Un piccolo gioiello.
Sono viva
Un’altra opera prima di due fratelli registi, Dino e Filippo Gentili, rinomati sceneggiatori di film e fiction altrui. Un lavoro inconsueto, notturno come un noir di cui ripete alcune atmosfere sospese, di luci incerte e di interni claustrofobici in un andamento chiaramente teatrale. La storia del trentenne operaio Rocco (Massimo De Santis), anima timida e mite, precario e solo, prende nuova forma quando un misterioso signore (Giorgio Colangeli) lo paga perché vegli di notte la giovane figlia morta. In quella notte si affollano personaggi irrequieti e strani: dal fratello della morta (Guido Caprino), al fidanzato della stessa ragazza (Vlad Toma) che gli ha lasciato un bambino nato da poco. Un intreccio di difficoltà familiari, di tormenti e rivendicazioni esprime un bisogno d’amore da parte di questi esseri, così che Rocco diventa simbolo dell’incertezza dell’uomo d’oggi e del suo disperato bisogno d’affetto. Ma è la ragazza morta ad essere stranamente il personaggio più vivo, luminosa nella sua presenza distesa sul letto. I registi giocano in definitiva su ciò che oggi è rimosso, la morte, per cui il film da noir diventa in realtà dramma esistenziale, metafora di ricerca di senso. Nonostante alcune ingenuità e imperfezioni – il personaggio della barista (Giovanna Mezzogiorno) non è del tutto risolto – quest’opera riflessiva è un atto di coraggio del nostro cinema giovane, di fiducia in un cast all’altezza del ruolo e di sforzo produttivo.
Il compleanno
Marco Filiberti, regista e uomo di cultura milanese, firma il secondo lungometraggio con un cast eccezionale in un’opera – di rara intensità e con diversi livelli di lettura – che parte dal mélo per diventare discorso drammatico, si direbbe euripideo, sulla conflittualità, l’assenza di verità nei rapporti fra gli esseri umani, il bisogno di amore :rimossa e poi portata a galla, dove genera dolore ma anche squarci di luce. Due coppie borghesi in vacanza al Circeo (Alessandro Gassman e Michela Cescon, Massimo Poggio e Maria de Medeiros), ricche e soddisfatte all’apparenza, vedono la loro vacanza sconvolta dall’arrivo di David (Thyago Alves), figlio di Diego (Gassman), la cui presenza, bella e misteriosa, diventa inconsapevolmente epifania, ovvero rivelazione della verità rimossa di ciascuno. Attorno al dramma che apre e chiude sulle note del Tristano wagneriano – l’ineluttabilità dell’amore –morte -, vivono e agiscono altri personaggi per nulla secondari, anzi necessari al dipanarsi della storia, fra cui emergono la professoressa depressa (Piera degli Esposti), e il giramondo Leonardo (Christo Jivkov), una specie di angelo solitario.
Fotografata splendidamente nelle notti e nei giorni, con il mare come protagonista onnipresente, con rimandi classici, cristiani, e suggestioni dei maestri del mélo eppure sganciata da questi, la narrazione procede svelta, scena dopo scena, grazie alla regia precisa e alla recitazione partecipata del cast, fra cui emergono il protagonista Massimo Poggio e la dolente Maria de Medeiros. (nella foto: il cast del film)