Cinema di comunità
Erano ottomila negli anni Cinquanta e Sessanta. Ora sono scese a circa 1000, ma godono di ottima salute. Sono le “sale della comunità”, quelle che una volta si chiamavano i cinema parrocchiali. Per tre giorni, dal 9 all’11 maggio scorso, Padova ha raccolto, per uno scambio di esperienze e di progetti, 350 delegati nazionali nell’ex cinema Pio X, ora diventato una multisala. Già, perché le SdC (sale della comunità) si stanno facendo concorrenziali con le altre per circa il 75 per cento. Non offrono infatti solo cinema, ma sono pure luogo culturale per convegni, teatro, musica, danza, e altre forme d’arte. Recuperano i centri storici, attraggono famiglie (28 per cento adulti e 25 per cento bambibi), mentre pochi sono i giovani e gli anziani. Programmano cultura, favoriscono la crescita umana e cristiana di coloro che le frequentano: 150 sale sono di prima visione, altre 150 per il cinema d’essai (sempre più scarso nelle grandi città, ormai) e il resto è nel circuito chiamato “di prosecuzione”. Intorno a queste strutture, gravitano inoltre ben seicento circoli di cultura cinematografica, perché il cinema fa ancora, col suo 59,60 per cento, la parte del leone nella programmazione dello spazio. Economicamente le SdC tengono anche se il profitto non è la logica primaria, ma il pubblico è fedele e chiede prodotti di qualità. Sparse per tutto il territorio, hanno il grosso nel nord-ovest (56,67 per cento), cui seguono il centro (21,66), il nord-est (17,50), mentre scarsa è la presenza al sud e nelle isole (4,15). Naturalmente, non mancano i problemi: la mancanza di coordinamento richiesto dagli associati all’Acec (associazione cattolica esercenti cinema) per contenere i costi e rafforzare il circuito è forse il maggiore. In più la necessità di comprendere che le SdC si inseriscono nel progetto culturale della Cei in un’Italia dove la cristianità “omogenea” non esiste più e c’è bisogno di farsi sentire. Se anche la laica Repubblica afferma che le Sdc sono una “ricchezza da non perdere”, si capisce perché don Dario Viganò, responsabile di cinema e spettacolo della Cei, faccia questo invito: “In vista del 2006 e del convegno ecclesiale, ogni città, ogni paese abbia la sua sala”. Come espressione di una comunità cristiana culturalmente preparata e unita.