Il cinema dei segreti
Periodicamente il cinema ritorna sul tema del segreto, ossia delle verità nascoste che poi in modo inaspettato tornano a galla, producendo smarrimento e dolore, ma anche una possibile luce. In famiglia come nella società.
Lo raccontano due film. Il primo, che ha aperto la Mostra del cinema a Venezia, si intitola significativamente Le Verità, diretto dal giapponese Hirokazu Kore-eda. Appassionato di drammi familiari, del potere dell’ego, della fascinazione del cinema, il regista incentra la storia sull’incontro fra l’attrice star, ormai settantenne, Fabienne, e la figlia Lumir che torna dagli Usa insieme al marito Hank (con problemi di alcol) e la figlioletta Charlotte. L’attrice ha appena pubblicato un libro di memorie ed è su questo che si apre il conflitto tra madre e figlia. Il testo infatti nasconde tante verità e ne presenta anzi alcune che non corrispondono alla realtà. Nulla della vita familiare vera riaffiora, perché per Fabienne è importante rivendicare l’egoismo e l’ambiguità necessarie per raggiungere il successo.
Il racconto con battute al vetriolo fra madre e figlia, con un genero eterno bambino, tocca il massimo della verità nella vita della piccola Charlotte. Sono i bambini a disfare il velo egoistico dei grandi, a toccarli con la loro innocenza e le risposte imprevedibili. Tanto che questa convivenza così forzata, questi rapporti per nulla idilliaci dominati dall’ingombrante Fabienne, potrebbero forse aprirsi a una qualche speranza di novità. Quella di capire che le tante verità dei grandi si infrangono poi di fronte allo sguardo pieno di amore per tutto da parte dei bambini, alla loro purezza che smonta l’insincerità degli adulti.
Fotografato in un poetico autunno parigino, con gli alberi che si spogliano come si spogliano le menzogne delle vita, il film trova la sua verità nell’interpretazione di Catherine Deneuve, che in un mezzo sorriso dice tutto, di Juliette Binoche nei panni della sconvolta figlia e di Ethan Hawke in quella del genero attore fallito. Da non perdere.
Da non perdere pure il film candidato agli Oscar per la Slovenia – in uscita il 31ottobre – Il segreto della miniera. Lavoro nebbioso, nell’inverno boschivo delle luci grigie, il racconto vero del minatore Mehmedalija Alic, che disobbedì al suo capo per scoprire un terribile segreto, è scabro, incalzante. 103 minuti sul filo del rasoio, ma senza eccessi, sobrio e asciutto come il volto del minatore fuggito da Sebrenica nel 1995 in Slovenia, con moglie e figli, unico sopravvissuto alla strage del suo paese. L’uomo è serio, dolce, porta in sè la ferita della perdita della famiglia, dell’amata sorella maestra, uccisa con i bambini della sua scuola.
Siamo nel 2007, il minatore lavora due anni per chiudere una miniera abbandonata e scrivere un rapporto sul suo contenuto ai superiori. Scopre che il luogo è la tomba nascosta di 4000 profughi di guerra uccisi dai vincitori nel secondo conflitto bellico: uomini donne bambini. La scoperta mette in crisi la polizia, il governo, tanto che il minatore, licenziato, viene emarginato perché non vuole dire menzogne. Ancora nel 2016 la maggior parte delle vittime non ha avuto sepoltura. Un momento commovente del film è appunto quando il minatore scava una buca in un prato e vi depone l’unico resto di una donna, i capelli biondi. L’uomo, che ha rischiato per la verità la vita della famiglia, che ha perso il lavoro, ha scritto la sua autobiografia. Un successo, che ha dato modo alla regista Hanna Slak di affrontare il dramma, rivelarlo ad una Slovenia ancora riluttante ad accettarlo.
Il film sembra una lotta contro la menzogna e allo stesso tempo un inno funebre alle vittime innocenti di tutte le guerre, espresso con una commozione sotterranea velata di malinconia.