Cina: rinnovato l’accordo per la nomina dei vescovi
Negli ultimi sei mesi tanti, forse troppi, hanno cercato convincere il Vaticano a non rinnovare l’accordo stipulato due anni fa, il 22 Settembre 2018, con il Governo cinese riguardo alla nomina dei vescovi. Direi che molti si sono messi d’impegno in questo tentativo di dissuasione: dal Dipartimento di Stato Usa ad un ex governatore di Hong Kong fino ad un’Eminenza in pensione.
Nei circoli giornalistici asiatici si è avuta spesso la percezione, come in questo caso, che quando troppe voci, molto simili, si attivano per convincere l’opinione pubblica su un argomento specifico, ci potrebbe essere un piano a monte. Che insomma quest’onda di articoli e commenti contrari non fosse del tutto spontanea, ma che ci fosse qualche potente interesse contrario all’accordo tra il Vaticano e la Cina.
Si è parlato troppo della necessità di ‘non farlo’ e pochissimo delle ragioni per ‘farlo’. C’era chi riteneva negativo il bilancio degli ultimi due anni e chi si appellava ad uno “scontro” di civiltà, chi parlava di incompatibilità e chi di “bene delle anime”: e quest’ultima è la motivazione che di solito guida le decisioni della Chiesa cattolica.
Troppe voci, soprattutto in ambito cristiano, si sono alzate per far presente in modo insistente, ed a volte un po’ petulante, che papa Francesco e la Segreteria di Stato Vaticana rischiavano addirittura la loro ‘reputazione morale’ promuovendo un accordo con un paese comunista e totalitario. Si è arrivati anche a parole forti contro il Segretario di Stato, il cardinale Parolin, che non brillano certo per ragionevolezza ed educazione. Toni accesi che, anche senza dirlo, attaccavano il Papa, cercando di delegittimare il suo operato.
Ma fin dal 2018, ed anche ultimamente, ci sono state voci, anche laiche, che hanno avuto l’accortezza di valutare attentamente le motivazioni che hanno spinto il Vaticano a stipulare, ed ora a rinnovare, l’accordo con Pechino, per ‘seguire i segni di Dio’, come disse papa Francesco di ritorno dai Paesi Baltici, il 25 settembre 2018. E moltissimi cattolici, anche in Cina, hanno appoggiato il Papa e condiviso le sue scelte, e tra loro anche non pochi esponenti della cosiddetta ‘Chiesa patriottica’. Solo che lo hanno fatto senza clamore, silenziosamente.
Dopo l’accordo del 2018, che è stato appena rinnovato, in Cina c’è una sola Chiesa cattolica riconosciuta da Roma: e questo è un fatto importante, che esprime una grande apertura. Le nomine dei vescovi concordate tra Santa Sede e Pechino, pongono finalmente la parola fine alla controversa questione dei vescovi non riconosciuti dal Papa. Ci sono certamente limiti, deficienze, difficoltà, sofferenze, timori, forse anche errori, ma non due chiese. Ed è nell’unità, chiesta da Cristo prima di morire: «Padre, che tutti siano uno» (Gv 17, 21), che la Chiesa realizza il suo mandato, la ragione della sua stessa esistenza. Non per dividere il mondo in buoni e cattivi, salvati e dannati.
Al di là delle polemiche del momento, è importante rivolgere lo sguardo anche alla storia, all’esperienza millenaria della Chiesa, che da sempre ha dovuto districarsi e svincolarsi da regimi che volevano soggiogarla. Papa Francesco nel 2018 ricordò che «l’Imperatrice Maria Teresa si stufò di firmare le nomine dei vescovi e lasciò al Vaticano questo incarico». E poco oltre, il papa raccontava che «in America Latina per 350 anni i re di Portogallo e Spagna nominavano i vescovi e poi chiedevano al papa di dare la sua benedizione», come a dire: ci sono stati tempi non meno difficili degli attuali per le relazioni tra la Chiesa e gli Stati.
Io penso che la Chiesa in Cina sia pronta per accettare questo accordo, ben sapendo che può provocare dolore e dubbi, a volte sconforto, in alcuni (o forse anche in molti) cattolici cinesi: ma la fede fino al martirio per restare fedeli a Cristo, e in Lui al suo Vicario, li aiuterà nel cammino. Tutto concorre al bene sempre, anche in mezzo alle lotte di questo mondo, alle ingerenze, a sofferenze e confusione, per chi cerca, vuole e chiede l’unità. La sofferenza ha segnato il cammino dei cristiani in Cina fin dall’inizio, nelle guerre, rivoluzioni, persecuzioni e condanne. Ma nulla è andato perduto.
In questi 30 anni che ho vissuto in Asia, ho potuto stringere amicizia con diversi monaci buddhisti che ammirano per questo la Chiesa cattolica. Uno di loro, Phra Maha Thongrattana Thavorn, mi disse qualche tempo fa: «Voi cattolici siete speciali: i vostri vescovi ascoltano il Papa, che li sposta dove vuole. E loro obbediscono a lui, in qualunque parte del mondo si trovino. Da noi non è così: sono i governanti… che decidono le nomine e ci spostano a loro vantaggio. E dobbiamo ascoltarli».