Cina: la politica dell’unità
Le stime ufficiali contano dieci milioni di cattolici in Cina, meno dell’uno per cento di una popolazione che ormai ha superato il miliardo e trecento milioni di persone. Eppure su questa comunità si riflettono attenzioni e contraddizioni: quelle storiche, culturali, politiche di un paese che la cronaca quotidiana pone in risalto per lo sviluppo economico, ma anche per il degrado ambientale; per la costruzione di un nuovo modello di società, come pure per la reticenza nell’aderire agli standard universali di tutela dei diritti umani. Circostanze di rilievo, certo, ma dalle quali l’elemento religioso sembra estraneo o – è questo il dato che maggiormente attira l’attenzione – viene facilmente confuso con situazioni di potere, gestione politica, indirizzi governativi, oppure per marcare la divisione dei cattolici tra clandestini e patriottici. Su questo solco si colloca la Lettera ai vescovi, ai presbiteri, alle persone consacrate e ai fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese che con la data del 27 maggio, Benedetto XVI ha indirizzato a quella comunità con un intento essenziale: per aiutarvi a scoprire ciò che da voi vuole il Signore e Maestro, Gesù Cristo. Una lettura che rispetto alle complesse problematiche, si limita ad offrire alcuni orientamenti in merito alla vita della Chiesa e all’opera di evangelizzazione in Cina. Al centro c’è il dono della fede che, se integralmente e coerentemente vissuto, è l’unico elemento che può aiutare una piccola minoranza a leggere la propria identità, a vivere la propria cattolicità, per essere parte di quell’unico corpo che è la Chiesa di Cristo e partecipare come protagonista alla vita della società cinese. Un orientamento disarmante per chi attendeva scomuniche o cedimenti. Necessario per una realtà che nel 1949 ha sostituito con il comunismo le tradizioni religiose, gli elementi spirituali espressi nelle condizioni di vita, nei modelli sociali, nella pratica quotidiana. Una realtà che oggi ha rimpiazzato l’ideologia con la crescita economica, la concorrenza sui mercati, il ruolo di potenza internazionale. Anche quel libretto contenente i princìpi per la società cinese, voluto da Mao-Zedong e additato con l’orgoglio del modello da imitare, oggi sembra parte di una storia lontana. Nel tempo della realtà globale è facile dire che al comunismo si va sostituendo il consumismo. Ambedue figli del materialismo, di una visione del mondo che vuole fare a meno di Dio. Una sfida che chiede ai cattolici cinesi di realizzare i segni dell’amore e dell’unità , che significano operare con fedeltà al Vangelo, nella comunione con il Successore dell’Apostolo Pietro e con la Chiesa universale. Non più divisioni, ma la consapevolezza che la clandestinità non rientra nella normalità della vita della Chiesa, e la storia mostra che Pastori e fedeli vi fanno ricorso soltanto nel sofferto desiderio di mantenere integra la propria fede e di non accettare ingerenze di organismi statali in ciò che tocca l’intimo della vita della Chiesa. Emerge con chiarezza che le posizioni diverse non sono una libera scelta, ma piuttosto la conseguenza del ruolo significativo svolto da organismi, che sono stati imposti come principali responsabili della vita della comunità cattolica. Sul piano dei diritti questo ha significato negare la pratica religiosa, privare della libertà i credenti, imporre la registrazione dei luoghi di culto, o l’obbligo per i cattolici di certificare pubblicamente l’appartenenza alla Associazione Patriottica (quella dei cattolici ufficiali). Benedetto XVI ne è consapevole e così inaugura la politica dell’unità per favorire il pieno esercizio della fede, un’autentica libertà religiosa, la normalizzazione dei rapporti tra la Santa Sede e il governo di Pechino. E così offre un contributo in più alla convivenza pacifica della famiglia umana.