Cina in transizione

L’annuncio della rivalutazione della moneta cinese interroga economisti ed esperti. Il dragone mira a governare la politica economia mondiale e investe anche all’interno e sul salario degli operai  
cina yuan

La rivalutazione dello yuan, annunciata dalla Banca popolare cinese e salutata con entusiasmo dai mercati internazionali e dal presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, suscita qualche perplessità negli esperti: è indubbiamente sintomo di un cambiamento interno nella politica economica del Paese.

 

Per noi consumatori si traduce in costi più alti per la merce cinese che potrebbe diminuire le quantità sui nostri banchi, riducendosi la richiesta, appunto per i prezzi più alti. Dall’altra parte influirebbe molto più sulle esportazioni made in Italy che per i consumatori cinesi avrebbero costi più accessibili. Gli economisti parlano di banco di prova per il sistema monetario ed economico del celeste impero, che prepara la strada per diventare, tra pochi anni, il più grande mercato mondiale, pronto a scalzare anche il sistema americano, non più principale punto di riferimento internazionale.

 

Indubbiamente la rivalutazione della moneta e la fluttuazione nel cambio indicano una propensione alla liberalizzazione del sistema e implicano anche un minore grado di controllo da parte delle autorità cinesi, che stanno cedendo qualcosa, ma in modo accorto e limitato come continuano a ribadire. La partita più generale che si vede sullo sfondo è la riforma del sistema monetario internazionale.

 

In accordo, per una volta, con i vicini giapponesi, che già lo scorso anno avevano chiesto riforme del mercato finanziario, le autorità monetarie di Pechino invitano a promuovere il ruolo dei DSP, i Diritti Speciali di Prelievo, quale ancora delle valute nazionali e degli scambi commerciali. I DSP sono emessi dal Fondo Monetario Internazionale e attualmente servono solo a effettuare alcuni pagamenti tra i governi. Se venissero usati come valuta di cambio, il dollaro verrebbe scalzato dal suo ruolo di primo piano del sistema monetario.

 

Certo gli Usa non saranno disponibili nel cedere quote di sovranità, ma secondo gli accademici e gli osservatori internazionali, il confronto resta aperto e, se apparentemente i cinesi hanno ceduto alle sollecitazioni politiche statunitensi sulla rivalutazione dello yuan, dall’altro lato affilano le armi per acquisire maggior peso nel governo del mercato globale.

 

Altri movimenti interni al Paese del dragone sono l’aumento degli investimenti sul terziario, tipico settore delle economie avanzate, con uno spostamento dal manifatturiero e dall’agricoltura, settori trainanti di questi anni di boom.  Banco su cui poi, la Cina sta giocando il suo futuro sono i salari interni.

 

E’ di questi giorni la notizia che molte aziende semi-statali e altre di proprietà straniera stiano aumentando i compensi per favorire la crescita della domanda interna. La politica cinese delle retribuzioni è stata particolarmente contestata, poiché negli ultimi due anni tutti i dividendi provenienti dalla crescita venivano reinvestiti senza alcun beneficio per gli operai, in termini economici e di condizioni lavorative. Da qui anche i tanti suicidi alla Foxconn, il colosso informatico che lavora per Apple, Nokia e Dell. La scelta di aumentare le buste paga è legata anche alla crescita di una borghesia benestante che potrà acquistare merci europee e in particolare beni di lusso, in cui l’Italia è capofila nelle esportazione.

 

Si attende il confronto al tavolo del G20 per dare solidità alla decisione annunciata.

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