Cile: criminalità, carabineros e uso della forza
Secondo alcuni giuristi e organismi per i diritti umani la nuova legge cilena che presume un uso giustificato delle armi di servizio, in determinate condizioni, da parte dei carabineros, potrebbe portare ad eccessi e abusi. E il governo ha già presentato un successivo disegno di legge denominato “Regole per l’Uso della Forza” (Ruf). Tutto questo si inserisce in un dibattito al cui centro si trovano i carabineros, la polizia di pattuglia, fortemente discussi per la dura repressione delle proteste popolari nel 2019.
Recentemente (marzo 2023), la morte in servizio di tre carabineros in meno di un mese ha generato clamore dell’opinione pubblica. «I carabineros sono passati da essere molto criticati ad essere molto valorizzati, come istituzione», dice a Città Nuova Rodrigo Mardones, docente all’Istituto di Scienze Politiche dell’Università Cattolica del Cile e ricercatore all’Istituto Millennio per la Ricerca su Violenza e Democrazia (VioDemos). Merito della crescente sensazione di insicurezza provocata dall’aumento dell’attività criminale violenta per le strade.
«L’indice di omicidi – 4,6 morti per 100 mila abitanti – è basso se lo compariamo con i dati di altri Paesi della regione come il Brasile (18,8), il Venezuela (40,4) o il Messico (25,2), e perfino di Paesi che si considerano pacifici come l’Uruguay (11,2) o il Costa Rica (12,2). Ma l’aumento è oggettivo, se consideriamo che il dato cileno è passato dal 2,0 del 2020 al 4,6 del 2022». L’aggravamento è dovuto a un incremento della criminalità organizzata e del narcotraffico, unito ad una «risposta non soddisfacente da parte della polizia».
I “Carabineros de Chile” erano tra le istituzioni che godevano della maggiore stima della cittadinanza, fino a quando si scoprì una trama di corruzione per la quale furono imputati un centinaio di agenti, tra cui le più alte autorità. L’uccisione del leader studentesco indigeno Camilo Catrillanca e le accuse di violazione dei diritti umani nella repressione delle proteste cittadine del 2019, che provocarono una trentina di vittime e centinaia di feriti, hanno cambiato radicalmente la percezione positiva. Fino al punto che nel processo costituente avviato in seguito alle proteste del 2019 il primo testo proposto alla cittadinanza (e non approvato) stabiliva l’eliminazione del corpo e la sua sostituzione con una nuova istituzione di polizia.
Ma negli ultimissimi anni la richiesta di porre limiti al “grilletto facile” dei carabineros si è scontrata con la commozione per l’uccisione di giovani in uniforme, morti per difendere persone minacciate dalla crescente violenza. Di qui l’esigenza dell’intervento legislativo.
Secondo Mardones, il problema è però più ampio. «I carabineros sono parte di un sistema, che include il Potere giudiziario, i Pubblici ministeri, la Polizia penitenziaria… Hanno a che fare con la delinquenza e l’insicurezza in cui viviamo». La percezione di crescente vulnerabilità si associa a rapine, sparatorie, alle migrazioni illegali. «La risposta facile è la forza: incarcerare e aumentare le facoltà dei carabineros, anche a costo di lasciare in secondo piano il rispetto assoluto per i diritti umani e la proporzionalità nella repressione del delitto», segnala l’esperto, secondo il quale «il dibattito politico intenso che si è generato è alquanto miope». «Si sta legiferando a caldo, sotto la pressione dell’emozione dell’opinione pubblica (stai con la gente o con i delinquenti?), senza uno sguardo olistico». Occorre invece un approccio che punti alle cause dei problemi, con interventi differenti a diversi livelli, su tutto il sistema. «Sotto la pressione dell’urgenza non si affrontano i problemi di fondo. E questo è preoccupante».
Per esempio, si associa la delinquenza all’ingresso irregolare di massa di delinquenti dalla frontiera nord, cosa che genera atti di xenofobia. Anche se è vero che esiste la tratta di persone e la delinquenza legata all’attraversamento clandestino delle frontiere, e che in certe località la migrazione assume i connotati di una crisi umanitaria, gran parte della violenza è causata da bande di narcotrafficanti locali. Senza contare che l’urgenza porta a distogliere l’attenzione dal crimine organizzato più “sottile, che non fa rumore, che non è violento”, che opera nelle attività economiche in modo sotterraneo e che corrompe l’istituzionalità statale e politica, come puntualizza il politologo Juan Pablo Luna.
Preoccupa anche la messa in questione della statalità del territorio, con aree nelle quali le forze dell’ordine non possono entrare perché controllate da bande che dispongono di un alto potere di fuoco, molto superiore a quello della polizia. Un fenomeno di proporzioni ancora lontane da quelle di altri Paesi, ma che preoccupa per le proiezioni future.
La legge Naím-Retamal permette ai poliziotti che abbiano utilizzato le loro armi di rimanere in servizio e di continuare a ricevere lo stipendio mentre, eventualmente, si investiga internamente circa il loro operato. La legge corregge alcune situazioni ingiuste e consente l’uso delle armi quando sia in pericolo l’incolumità fisica (non di beni) propria o di terzi, o per prevenire l’imminenza di atti che la minaccino. Il disegno di legge Ruf prevede poi principi, criteri e limiti per l’uso della forza, stabilendo protocolli regolati per legge e non da norme interne ai carabineros.
Secondo analisti come Daniel Soto, avvocato ed esperto di diritti umani e poteri della polizia, un controllo esterno dell’azione della polizia è necessario. «Credo che ci sia mancanza di professionalità quando si vedono i controlli come minaccia. I controlli più rigidi dovrebbero essere quelli dell’istituzione stessa. Guardiamo agli standard internazionali, che stabiliscono limiti e protezione per la polizia».
Unanime è l’esigenza di un aggiornamento dell’addestramento dei carabineros e la necessità di migliorarne l’equipaggiamento e le condizioni di lavoro, oltre alla cultura dell’istituzione. Il governo ha annunciato misure concrete a riguardo.
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