Il Cile cerca un nuovo patto sociale
I carri armati che avanzano sulla piazza e aprono il fuoco. I caccia in volo radente che sganciano missili sul Palazzo della Moneda, mentre i cecchini appostati mirano alle finestre. Fu un assalto degno di un’invasione straniera d’altri tempi quello che l’11 settembre 1973 destituì il presidente cileno Salvador Allende – suicidatosi per non arrendersi – instaurando la dittatura di Augusto Pinochet. Nei 16 anni seguenti, almeno 40 mila cileni furono vittime di sequestri e torture, 3 mila sono tuttora desaparecidos e migliaia in esilio.
Cinquant’anni dopo, il Paese ricorda la mattina che ne ha cambiato la storia con un “Mai più” non così unanime come ci si aspetterebbe. L’ambiente, a detta del presidente Gabriel Boric, è “elettrico”.
La democrazia è tornata nel 1990, ed è in buona salute, ma le proteste di massa del 2019 hanno lasciato il segno. Hanno ottenuto un processo costituente dagli esiti ancora incerti mettendo a nudo lo scontento verso un modello economico che ha fatto del Cile uno dei Paesi più prosperi del continente, ma ha anche ampliato in modo allarmante il divario tra le classi sociali.
Negli ultimi anni, l’alto costo della vita, la vulnerabilità di lavoratori e pensionati in uno stato sociale debole, il disincanto verso una classe politica distante e la perdita di fiducia nelle forze dell’ordine (colpevoli di brutalità nella repressione delle proteste – non prive di eccessi e vandalismo – nonché di alcuni casi di corruzione sistematica) hanno portato ad una drammatica polarizzazione.
Così, con l’avvicinarsi dell’anniversario, dalla destra oppositrice forte della sua maggioranza nel Consiglio Costituente (è il secondo tentativo nel processo di riforma della magna charta), si è fatto sentire qualche nostalgico del pinochetismo, che avrebbe salvato la nazione dal caos promuovendone lo sviluppo e proiettandola nel mercato globale. Si va dal negazionismo, che fa a pugni con l’evidenza delle prove e delle testimonianze, alla giustificazione degli abusi perché si era “in guerra” contro gruppi violenti di estremi opposti e contro il comunismo che espropriava proprietà e libertà.
Tuttavia, la popolazione appare poco interessata ad un anniversario di fatti vecchi di mezzo secolo… che, evidentemente, hanno aperto una ferita non curata.
Nella stessa settimana in cui sette ex militari sono stati condannati per il sequestro e l’uccisione del celebre cantautore Víctor Jara (avvenuta cinque giorni dopo il golpe), il 30 agosto il governo di sinistra ha lanciato un piano statale di ricerca delle quasi 1.200 persone ancora desaparecidas. Un dovere storico finora sostanzialmente disatteso. «Un atto di giustizia importante per i familiari delle vittime», ha dichiarato María Luisa Sepúlveda, giá vicepresidente della Commissione Nazionale sulla Prigionia Politica e la Tortura. «Significa che lo Stato, che li ha gravemente danneggiati, se ne fa ora carico».
Per il professor Rodrigo Mardones, docente di Scienze Politiche all’Università Cattolica del Cile e ricercatore, «sebbene il Cile sia tra i Paesi latinoamericani che ha avanzato maggiormente nella giustizia restaurativa, il momento è critico: a 50 anni dai fatti, i vittimari e i parenti delle vittime stanno morendo; per la memoria e la riparazione occorre agire ora».
Una memoria oggi un po’ più trasparente. Su richiesta del governo Boric, gli Stati Uniti stanno gradualmente declassificando documenti segreti dell’amministrazione Nixon, tra cui conversazioni tra il presidente e il suo consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger, che dimostrano il concorso attivo degli USA nel colpo di Stato. Nulla che in Cile non si sapesse già. Mardones è convinto che il ruolo statunitense, sebbene importante, «non sia stato quello decisivo, in un golpe civico-militare partito dall’alleanza di gruppi economici, grandi imprenditori, proprietari terrieri e settori politici di destra».
Nel contesto della Guerra Fredda, la preoccupazione statunitense era che il primo governo socialista eletto democraticamente si consolidasse e «proiettasse al mondo un’immagine di successo». Così Nixon al Consiglio di Sicurezza Nazionale, nel 1970.
Secondo i documenti, gli Stati Uniti cercarono prima di evitare la nomina di Allende influendo segretamente sul Parlamento. Attraverso la Cia, sostennero poi il sequestro del comandante in capo dell’Esercito, il democratico René Schneider, ucciso nella colluttazione, e infine boicottarono il governo indebolendo l’economia e finanziando opposizioni e stampa contraria.
Kissinger sostenne il regime di Pinochet almeno nei primi anni, nonostante le denunce di violazioni ai diritti umani che provenivano persino dall’intelligence statunitense.
Per l’ambasciatore cileno a Washington, Juan Gabriel Valdés, «rendendo pubblici questi dossier, gli Stati Uniti in fondo stanno riconoscendo che tutto questo non avrebbe mai dovuto succedere».
Il deputato democratico statunitense Joaquin Castro, membro di alto rango del Comitato della Camera per l’Emisfero Occidentale, che ha visitato la capitale cilena, ha dichiarato a Bbc Mundo: «Se gli Stati Uniti vogliono avere un rapporto onesto con l’America Latina, dobbiamo essere onesti sulla nostra complicità in fatti del passato, e prendere le misure per non ripetere quegli errori nel futuro».
—
Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre riviste, i corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it
—