Il Cigno nero secondo Luigino Bruni

Le comunità e le organizzazioni (specialmente quelle a Movente Ideale) creano e disfano continuamente i loro equilibri. Quando non lo fanno iniziano lentamente a morire.

Il libro I colori del cigno (Città Nuova) di Luigino Bruni (economista con la passione per l’etica e per gli studi biblici e umanistici) offre validi spunti di riflessione per comprendere le dinamiche che intercorrono tra l’insorgenza di un avvenimento insolito e il coinvolgimento delle organizzazioni a Movente Ideale, cioè quelle realtà collettive (movimenti spirituali e politici, comunità religiose, cooperative, molte ONG) nate attorno ad alcune persone (fondatori, fondatrici) e che sono mosse da ideali diversi dai profitti economici.

Viene chiamato “cigno nero” un evento raro, imprevedibile e inaspettato, che può essere sia positivo che negativo: è il caso, per esempio, del Covid-19. Tale espressione deriva dalla scoperta in Australia di cigni neri, che confutò la tesi accettata da tutti secondo la quale i cigni erano solo di colore bianco. Il problema di fondo non è la comparsa dell’evento in sé stesso, ma la sua effettiva gestione.

Un imprevisto può cambiare in maniera radicale la nostra vita, in quanto si tratta di un avvenimento che non eravamo preparati ad accogliere. Tutto può diventare un’opportunità, ma spesso si ha la tendenza ad eliminare il cigno che ha un piumaggio diverso dal bianco, ovvero si combatte tutto ciò che non è conforme alla tradizione e al “si è sempre fatto così”.

C’è il pericolo quindi di dare risposte poco efficaci, di sprecare un’occasione e di condannare un movimento, una comunità, all’immobilismo o, peggio ancora, alla morte. Nel corso della loro esistenza, le persone sviluppano molti più carismi di quelli utili alle comunità nelle quali vivono e crescono. Questo perché ogni uomo ha una dignità immensa ed è chiamato a rendere migliore non solo il posto in cui vive, ma il mondo intero.

Il carisma non è mai del singolo o di un gruppo ristretto, perché per sua natura, ogni vita è fatta per generare altra vita: un albero non appartiene solo al giardino in cui si trova, ma i suoi rami spesso vanno al di fuori del recinto domestico, «spargono spore e semi che germogliano solo se e quando restano liberi e portati dal vento».

Tuttavia i carismi possono suscitare anche sentimenti di invidia e di avversione. Quando questo accade, si fa di tutto per soffocarli, ma una comunità di persone che non si lascia sedurre da ciò che è nuovo, corre il rischio di veder restringere i propri orizzonti e di soffrire per mancanza di aria.

Sono le scalate verso le cime dei monti a consentire la vista di panorami abbastanza larghi: certo, c’è il pericolo di scivolare e di precipitare, ma solo sui crinali è possibile sfiorare il cielo, appagare cioè quel desiderio di infinito che spinge le persone ad agire, con amore, per la costruzione di un mondo migliore.

Non bisogna quindi mai identificare un carisma con le prassi, i riti, le liturgie e le regole vissute da una comunità, perché sono le eccedenze, le intuizioni inedite, a consentire al carisma di continuare a operare cose nuove in futuro. Senza queste eccedenze lo spirito libero diventa tecnica, una vocazione diventa semplice mestiere.

Anche la Bibbia ha fatto l’impossibile per distinguere Dio dalla Legge e dalla parola dei profeti che parlavano in suo nome: le regole, gli oggetti del culto comunitario, possono esprimere un aspetto del rapporto con il divino, ma Dio resta sempre mistero e continuo desiderio di ricerca. «Le fedi – scrive l’autore – sono autentici luoghi di liberazione se diventano, un giorno, esperienze di distruzione».

Il primo passo verso la libertà e la sconfitta dell’idolatria, è quindi la distruzione dell’immagine di Dio che ci siamo fatti. Questo processo può generare paura e disorientamento, ma è un cammino necessario per giungere poi ad una nuova fase esistenziale.

La demolizione deve però coinvolgere anche la stessa comunità, mediante il superamento di quelle rigidità mentali che impediscono la nascita di istanze nuove di liberazione e di quelle pratiche idolatriche che ostacolano la fioritura di una vera fede. La discontinuità è fondamentale perché in genere le comunità, per comprendere i fatti nuovi, si rifanno alle categorie e agli strumenti a loro disposizione e che sono un’eredità del passato, pertanto il rischio corrente è quello di «affrontare l’inverno con i panni estivi» e di morire seriamente di freddo.

Sono indispensabili quindi nuove categorie per comprendere e affrontare la nuova epoca, perché le categorie con le quali ieri leggevamo la crescita e il successo di un’organizzazione o di una comunità, sono ormai inadeguate. L’unico patrimonio che veramente possediamo è il presente, perché il passato ormai non esiste più e il futuro ha gli stessi contorni sfumati delle promesse: è il senso di realtà che consente tuttavia alle comunità di camminare, senza timore, sull’orlo del proprio disfacimento, perché se è vero che una storia può finire, è altrettanto vero che il cammino di ognuno continua, su strade diverse e con emozioni inedite, e magari alla fine ci saranno pure altri a continuare la magnifica storia che abbiamo iniziato.

Perché, come ci ricorda la Scrittura, c’è sempre un “piccolo resto” che torna, un “germoglio” che spunta da un tronco ormai rinsecchito. Senza questa promessa, nessuna partenza, nessun sogno, è veramente possibile. Le eccedenze e i disallineamenti sono una componente essenziale della vita del singolo e della comunità, per questo la loro comprensione e accoglienza è garanzia stessa di sopravvivenza.

Le comunità e le organizzazioni, infatti, creano e disfano continuamente i loro equilibri e quando non lo fanno iniziano lentamente a morire. Perciò, la prima arte che le persone e le organizzazioni devono apprendere, è la capacità di vivere in disequilibrio.

La vita, scrive l’autore, è saper camminare sul filo come l’equilibrista, che riesce a mantenere l’equilibrio e a non cadere perché a forza di muovere le braccia scopre anche di saper volare. Quando nella notte siamo svegliati improvvisamente da qualcosa o da qualcuno, ci restano due possibilità: chiudere gli occhi e ritornare ai sogni falsamente rassicuranti del passato, oppure aprire la finestra e confidare che il sorgere del nuovo giorno porti nuovi suoni e nuovi colori nella nostra vita e in quella della nostra comunità.

Il mondo ha bisogno oggi di sognatori, di uomini e di donne capaci di trasfigurare la realtà attraverso il coraggio della profezia. Se blocchiamo tutti i colori difformi nel momento in cui essi si presentano, forse possiamo prevenire l’arrivo del cigno nero devastante, ma così facendo, impediamo pure alle cose buone di arrivare.

Questa è quindi la nostra sfida quotidiana: essere profeti e saper riconoscere i profeti del nostro tempo, tenendo presente che ogni vocazione è imprevedibile, inattesa, ha un potenziale infinito. Come il cigno nero.

 

Giovanni Tucci

Frate dell’Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola

 

 

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