Cie. Un fallimento da non ripetere

La riapertura dei Centri di identificazione ed espulsione annunciata dal nuovo ministro degli interni Minniti è la soluzione sbagliata alla questione dei migranti. Ma nello stesso senso si muove anche una circolare del capo della Polizia, Gabrielli. Occorrono, invece, inclusione e integrazione  
ANSA/ ANGELO CARCONI

In una fase di grande incertezza politica e di forti tensioni per le imprevedibili azioni terroristiche, le iniziative di rigore annunciate dal ministro Minniti in questi giorni rispetto agli immigrati rappresentano uno strumento formidabile per attirare consenso politico. Ma soprattutto sembrano rappresentare l’unica via di uscita per controllare un fenomeno che da lustri è considerato un’emergenza mentre è la normalità.

 

Lo scorso 30 dicembre il capo della Polizia ha emanato una circolare in cui annuncia l’avvio di una massiccia attività di controllo del territorio per rintracciare gli immigrati irregolari, collocarli nei Cie (centri di identificazione e di espulsione, ossia una sorta di carcere per gli stranieri che però non hanno commesso reati) e poi rimandarli nei loro Paesi. Questo servirebbe a ridurre lo sfruttamento degli immigrati da parte della criminalità e il rischio di infiltrazioni terroristiche (i lavavetri, gli accattoni nei pressi di semafori e dei carrelli del supermercato).

 

La lettura della circolare invece si presta a molte e fondatissime contestazioni. L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) ha pubblicato un comunicato molto puntuale contestando, dati alla mano, quanto annunciato dal del capo della Polizia.

A prescindere dalle considerazioni strettamente giuridiche occorre ribadire che le soluzioni che comprimono i diritti fondamentali delle persone (lavoro, studio, circolazione, servizi sociali e sanitari, casa, ecc.) non sono mai delle buone soluzioni, perché portano allo stravolgimento dei princìpi su cui è fondato il nostro sistema sociale, già molto fragile per i tagli alla spesa pubblica degli ultimi anni e per la mancanza di stabilità politica.

 

Inoltre le soluzioni (si fa per dire) annunciate nella circolare manifestano uno Stato incapace di prendere atto dei propri fallimenti. Basta pensare che i CIE sono stati chiusi da anni perché ritenuti fallimentari sotto ogni punto di vista (ne esistono solo cinque). Basta considerare che tanti immigrati si spostano sul territorio perché attendono – da anni –  l’esito delle loro istanze troppo a lungo disattese, vittime della burocrazia e delle lungaggini tipicamente italiane. E basta anche guardare ai luoghi in cui si concentrano i centri di accoglienza.

 

Le espulsioni vanno fatte, ma solo in casi accertati di pericolosità, è evidente, ma non possiamo assolutamente assistere al rastrellamento indiscriminato e alle espulsioni di massa verso Paesi governati da tenaci dittatori o da regimi militari. La circolare non ha certamente il peso di una legge, ma considerato il clima di paura e sospetto in cui viviamo, rischia di assumere il peso di una norma costituzionale irrinunciabile.

 

Per ridurre la pressione dettata dalla presenza degli immigrati – pressione più politica che numerica –  si devono valorizzare le politiche di inclusione e di integrazione già presenti in tanti territori; va definito decisamente un sistema di accoglienza più diffuso e capillare evitando forti concentrazioni; vanno adottati i necessari aggiustamenti legislativi per agevolare il riconoscimento dei diritti anziché assumere condotte illegittime.

 

Sul sito dell’ASGI è possibile leggere il testo del comunicato stampa e della circolare Gabrielli.

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons