Ciampi: il senso dello Stato di un vero italiano
Le esequie di Carlo Azeglio Ciampi, decimo Presidente della Repubblica italiana, si sono svolte in forma privata, in coerenza con la riservatezza che ne ha caratterizzato lo stile, scevro da qualunque esagerazione retorica o comportamentale.
Un profilo che lo rende decisamente retrò, ma nel quale si può leggere un lascito in grado, forse, di mettere tutti d’accordo. Pure in occasione della morte di Ciampi, infatti, l’Italia è stata capace di dividersi in maniera che sfiderebbe il grottesco se non fosse troppo lacerante. Il fatto è che Ciampi è stato, tra il resto, il Ministro del Tesoro del primo governo Prodi, quello che decise e perseguì l’ingresso dell’Italia nell’euro. I vent’anni che ci separano da quella scelta hanno visto un’acqua corrosiva scorrere sotto i ponti della nostra vita politica e qualcuno pretende già di dare il giudizio che spetta alla Storia. Senonché è un po’ presto per farlo, sia che si voglia beatificare che condannare quella scelta.
È importante invece dare un giudizio sul civil servant che, nel corso di una vita eccezionalmente segnata da longeva operosità, è stato chiamato a rivestire le più alte responsabilità istituzionali.
Dopo 47 anni alla Banca d’Italia, di cui 14 da Governatore, nell’aprile 1993 fu il primo Presidente del Consiglio non proveniente da carica elettiva e poi di seguito Ministro e Capo dello Stato, di cui si ricorda l’elezione al primo scrutinio, nel maggio 1999. Nato nel 1920, approdò alle istituzioni politiche in un’età che oggi impone una smorfia di disgusto, se si vuole essere politicamente corretti. E invece in quel caso l’età era gonfia di vita e di storia: formazione severa in filologia classica alla Normale di Pisa, cui si aggiunse nel dopoguerra quella in giurisprudenza; chiamata alle armi, scelta antifascista e resistenza; e poi la Banca d’Italia, dalle filiali alla nomina a Governatore che cadde all’indomani dell’omicidio Ambrosoli e del caso Sindona, in un momento di crisi e scandali che avevano travolto direttamente l’istituzione. Altrettanta gravità di circostanze si trovò ad affrontare Ciampi quando fu incaricato di formare il governo, il primo “governo tecnico” della storia repubblicana, che nacque in un momento di crisi monetarie, politica interna travolta da inchieste della magistratura e stragismo mafioso.
Dinanzi a tutto, conservava una calma divenuta leggendaria, che partiva da lontano ed era il frutto della sua biografia, della sua competenza e dei suoi valori, tra i quali spiccava il senso dello Stato. In questi giorni è stato detto che Ciampi è stato l’espressione dell’ideologia che fa coincidere l’interesse dello Stato con quello del cittadino, che ne è rimasto stritolato. Senz’altro lo Stato cui guardavano Ciampi e la sua generazione non è quello che ci troviamo sotto gli occhi ora e ciò basterebbe per replicare; ma il giudizio appare non corretto se si analizza l’afflato sociale che ha animato il suo operato.
Donde traesse la sua ispirazione (dai gesuiti presso cui aveva studiato o dalla giovanile affiliazione massonica che gli viene rimproverata o rivendicata, a seconda), non c’è stata in lui l’ombra di asservimento delle istituzioni a fini ideologici o – peggio – personali. Oggi, infatti, ci troviamo a contrastare l’ideologia di chi fa coincidere l’interesse di una parte (di un partito) a quello dei cittadini, e questo è un problema davvero molto più concreto. Ma basta l’omaggio grato che tanti cittadini hanno tributato al Presidente Ciampi a fare giustizia anche di tante inutili polemiche.