Ci vorrebbe un elisir
Nemorino, contadino ingenuo fin troppo, è innamorato della capricciosa Adina, che lo snobba. Ma arriva il dottor Dulcamara, simpatica canaglia, gli vende un elisir d’amore e l’amore scoppia fra i due. Vissero tutti felici e contenti. Ecco la trama dell’opera di Donizetti, che ha quasi duecento anni ma è fresca come appena uscita dalla fabbrica di opere serie, semiserie e buffe del grande bergamasco.
La musica zampilla che è un piacere: con ritmi rossiniani, volatine carezzevoli e quel sentimento languido, patetico e profondamente umano che è lo specifico del musicista. Ci si commuove – se siamo rimasti con l’anima giovane – nella romanza pateticissima della “Furtiva lacrima”, così vera e così sincera (la strumentazione è soffice come un sospiro: arpa, fagotto e pizzicati degli archi), si ride alla cavatina funambolica di Dulcamara – che ha l’elisir per ogni tipo di malattia, da vero imbonitore –, alla scaltrezza tutta femminile di Adina («In questi occhi è l’elisir»), al fare da play boy molto casereccio del soldato Belcore, e si soffre quando Nemorino viene insultato e beffato («Adina, credimi, te ne scongiuro»).
Insomma, la favoletta è ben più che una favoletta, è – a ben guardare – la vita. Ma presa dal buonumore di Donizetti, che lo sa che ci sono pianti, lacrime, malizie e cattiverie piccine, ma in fondo ci si vuol bene e siamo tutti fatti per l’amore e per l’allegria.
Musica che non ha un calo d’ispirazione, che guarda al Rossini buffo, ma senza le sue funambolicità esasperate, è leggera leggera come l’aria del paese campagnolo dove si svolge la scena.
Ruggero Cappuccio, regista, l’ha capito e allora si inventa una follia di acrobati e circensi a commentare di continuo le scene, fa danzare in tempo di valzer tutti – cantanti cori figuranti – sotto una luce meridiana piacevole e l’opera è ritmata con gusto, con allegria, non toglie nulla alla bellezza della musica, anzi ne sottolinea l’elemento brioso di fondo con dolce ironia e una gran voglia di divertimento.
Donato Renzetti guida l’orchestra, specie al secondo atto, con attenzione all’equilibrio palco e buca, disegna colori belli e in genere poco noti – alcuni accenti dei legni, le viole –, e sostiene il cast giovanile, brillante attorialmente, con voci promettenti come il Nemorino di Pavel Kolgatin e già formate come l’Adina di Ekaterina Sadovnikova e il Belcore molto bravo di Joan Martin Royo. Bravi il coro e gli acrobati.
Siamo al Teatro dell’Opera di Roma e il pubblico è contento. Chissà se un elisir farebbe bene a risolvere tutti i problemi della musica in Italia, si pensa uscendo dal teatro. Ci vorrebbe un altro Dulcamara!