Ci vediamo un film?
Non ci sono più i Ferragosto di una volta: certi deserti urbani vagamente inquietanti, con le parole nitidamente ascoltabili da una finestra aperta a cinquanta metri di distanza. La gente parte ancora, ovvio, e le città perdono peso e rumore. Fioriscono nella loro bellezza, respirano, ma non come una volta. Le vacanze sono più sottili, agili, spalmate lungo tutto l’anno e mica tutti le fanno. Solo a tratti, ormai, soffia il sapore stordente del pieno agosto italiano, annacquato da un ristorante aperto dietro l’angolo, dal bar o dall’edicola che freddano la tradizione in un caffè o in un giornale. Lentamente muore il lisergico Ferragosto italiano, antico dai tempi dei romani. Rimane il cinema, per fortuna, a ricordarcelo prima che si eclissi del tutto. Sta salvato dentro Il sorpasso di Dino Risi, per esempio, capolavoro del 1962. Fotografia, in tempo reale, del boom economico al suo apice e insieme alla sua morte. La Lancia Aurelia b24 di Bruno Cortona (Vittorio Gassman) scivolava affamata nei capillari di una Balduina completamente metafisica. Era la mattina del 15, e l’automobile bianca bramava per trovare un telefono. Sgommando, scrutando affannata e selvatica solo saracinesche abbassate. Tutte col cartello con su scritto «chiuso per ferie». Dieci, venti, tutte. Una sembrava aperta, invece no: calava violenta sulla faccia di Cortona. Tutto fermo, spento, sospeso. Rare pure le macchine parcheggiate. Sparute, isolate. A via Proba Petronia compariva un sopravvissuto: il Roberto di Jean – Luis Trintignant, che Cortona ingaggiava quasi a forza, e sfrecciavano insieme lungo Via del tritone, Piazza del Popolo, Via del Babuino. Pochi passanti, un vigile, la macchina andava che era una bellezza. Libera. Cercavano qualcosa da mangiare, ma lentamente scoprivano dove erano finiti tutti gli altri: al mare, o lungo la strada per arrivarci, dal Lazio alla Toscana, i mezzi disgraziati e i ricchi veri, in vacanza, ognuno a modo suo.
Un assaggio di quella fauna febbrile nel giorno di Ferragosto l’aveva già offerto poco prima un piccolo film del filone comico balneare, uno dei tanti (presi a uno a uno quasi sempre dimenticabili) filmetti d’evasione estiva, con gli stereotipi del cumenda, del marito, dei giovani e di qualche ladruncolo cialtrone: Ferragosto in Bikini di Marino Girolami, del 1960, senza la città addormentata, ma col canto e il ballo della spiaggia affollata, apparentemente festosa. Film che insaporisce il brodo della ricostruzione del costume italiano: certificato di un tempo. La città sotto Ferragosto – che poi è sempre Roma – torna in un paio di film del 1976. «E’ vota Roma, eh?» commenta il poliziotto Nico Giraldi (Thomas Millian) nell’ascensore di un palazzo del quartiere Coppedè. Lo dice in Squadra antifurto a due topi di appartamento pronti a svaligiare uno degli infinti appartamenti rimasti senza proprietario. E sempre in ascensore, e sempre alla vigilia di Ferragosto, rimangono imprigionati Alberto Sordi (nei panni di un sacerdote) e Stefania Sandrelli (nei panni di una bella ragazza) nel film Quelle strane occasioni: altri frammenti, battute, piccoli lampi su questo momento così particolare dell’anno. Desolante, lunare, frastornante, affascinante e magicamente catturato, pochi anni più tardi, da Carlo Verdone con Un sacco bello: anno 1980, esordio vincente con due personaggi mitici (interpretati entrambi dal grande attore romano) alle prese col loro personale Ferragosto. Il primo è Enzo, coatto e solo al mondo come pochi. Vorrebbe arrivare a Cracovia in automobile, ma ha bisogno di qualcuno che gli faccia compagnia. Avrebbe trovato il povero Sergio (Renato Scarpa), col quale si è dato appuntamento al palo della morte. Ma lo sventurato compagno di viaggio viene ricoverato dopo pochi chilometri di strada, e allora Enzo telefona a persone semi sconosciute e chiede loro: «Volevo sapè come stai messo pe’ feragosto». Alla fine trova un certo Martucci, e chissà come andrà a finire questa storia, mentre sullo schermo scorrono le disavventure del mammone, tenerone e bambinone Leo, che dovrebbe raggiungere sua madre a Ladispoli, per trascorrere con lei la nota festa popolare. Solo che per i vicoli di una Trastevere assonnata e pigra impatta contro Marisol: bellissima e seducente ragazza spagnola che gli si piazza dentro casa e lo costringerà a passare una giornata al giardino zoologico di Roma, senza alcun visitatore. Solo loro due con animali urlanti e il canto ossessivo e stordente delle cicale. Anche Nanni Moretti ha raccontato il sapore forte della Roma vuota d’agosto: nel 1993, con quel gioiello che è il primo episodio di Caro Diario. È una citta luminosa, in questo caso, splendida e a tratti poetica, più stravagante, forse, che malinconica. In embrione, è un agosto già contemporaneo, con una città arieggiata e silenziosa, con un sottobosco vivo. Somigliante, in qualche modo, alla Roma sorniona, intima e tranquilla che Gianni Di Gregorio descrive in Pranzo di Ferragosto, il film con cui nel 2008 ha felicemente esordito alla regia. Non vuole essere lei, Roma, la protagonista del film, ma solo somigliare, col suo ritmo lento e affaticato, stralunato, coi suoi colori consumati, alle quattro anziane protagoniste del film: corale e lirico omaggio ad un’età troppo facilmente dimenticata: la terza. È un Ferragosto più attuale, quello trasteverino del film di Di Gregorio, ancora spiazzante, certo, un giorno particolare, anomalo, vagamente surreale, con strani personaggi che pescano nel Tevere. Ma tutto un poco più vivibile, normalizzato. Sempre Ferragosto, per carità, ma non propriamente il ferragosto di una volta.