Ci mancava Celentano

Si intitola Se non voti ti fai male. In apparenza è un civilissimo invito ai doveri democratici e un sacrosanto j'accuse a molti guasti di questo presente. In realtà è l’ennesima boutade di una vigilia elettorale sempre più virulenta
Grillo e Celentano

Ci mancava solo Celentano. A ingarbugliare e alzare ulteriormente le febbri di questa sfiancante campagna elettorale ci mancava solo lui,  il principe dei video-predicatori. D’altro canto c’era da aspettarselo. Anzi, a conti fatti quasi stupisce che abbia deciso di scendere in campo solo in zona Cesarini.

Di certo c’è che l’ha fatto entrando a gamba tesa, tanto per restare sul calcistico: un endorsement in piena regola a quel Grillo al quale è certamente accomunabile per indole pasionaria, propensioni profetiche, scarso amore per la dialettica, e affinità ecologiche. Non a caso i due avevano già condiviso qualche battaglia solidaristica in passato (come la manifestazione pro alluvionati di Genova, a fine 2011).

Confesso che le prediche del Molleggiato mi son sempre piaciute poco. Non tanto per quel che dice – spesso abbastanza condivisibile nella sostanza o nelle intenzioni – ma per quel suo semplicismo privo di profondità, di riscontri autobiografici, e di guizzi poetici, con cui regolarmente infarcisce i suoi monologhi. E ancor meno mi piacciono quando prendon forma di canzoni. Sarà una fissa mia, ma io continuo a pensare che le canzoni debbano prioritariamente veicolare emozioni, e solo su queste, nel caso, sia poi lecito dispensar messaggi. Di qualunque natura essi siano.

E nella sua nuovissima Se non voti ti fai del male, già a disposizione gratuita sul suo sito, l’Adriano nazionale ha invece dato fiato a una banalissima litania d’anatemi e di consigli solo apparentemente bipartisan. C’è da dargli atto che la sparata pare non tanto una trovata opportunistica più o meno telecomandata, quanto l’ennesima conferma di un modus ormai pluridecennale; uno stile tutto giocato sull’antiretorica e sulla faciloneria di tutti gli slogan populisti, ma guidato dall’istinto (e dunque presumibilmente in buona fede), più che da calcoli di sorta.

Ma resta il fatto che brani come questo sono un pessimo esempio. Sia per la qualità davvero modesta, sia perché contribuiscono a veicolare il peggiore dei sottotesti: vale a dire che oggi, nella musica come in quasi tutti gli altri ambiti della creatività umana, ad ottenere visibilità non è tanto il cosa si dice o si fa, né il come, ma soprattutto il chi. Sono anche dettagli come questi, credo, a dirci del provincialismo, della superficialità e dei personalismi che da decenni ammorbano la cultura, la politica e i costumi del Bel Paese.

A suo tempo un papa saggio ma spesso incompreso come Paolo VI, soleva dire che il mondo moderno non ha bisogno di maestri, ma di testimoni. Ebbene, credo che oggi si sia tutti così nauseati dai parolai per cui i loro messaggi non riescano più a passare neanche dalle orecchie al cervello, figurarsi arrivare al cuore. Ecco perché non credo proprio che questa canzonetta servirà a spostar voti (tutt’al più, per reazione, a toglierne qualcuno). Ed ecco perché anche il sottoscritto, come gran parte degli italiani, non vede l’ora che arrivi martedì.

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