«Ci è crollata la casa addosso, siamo vivi per miracolo»
«Non ricordo bene se ho davvero sentito la scossa. Mi sembra di aver sentito tremare il letto e poi il botto della casa che crollava. Ho fatto in tempo soltanto a mettere le mani davanti alla testa per proteggermi. Quando ho riaperto gli occhi c’era il soffitto a pochi centimetri da me. Ho detto: “È finita”». Lorenzo, 18 anni, faccia pulita, sguardo limpido, ciuffo alla moda, è molto provato, ma sta bene. «Per miracolo», dice lui. Un miracolo doppio, visto che nella casetta a due piani ormai distrutta di Villa San Lorenzo a Flaviano, frazione di Amatrice, si è salvato anche suo nonno Emidio, di 87 anni. Per chi crede, una mano pietosa deve aver fermato dall’alto la soffitta in cemento armato mentre si schiantava sull’ultimo piano dell’edificio, creando una bolla, «una gabbia», in cui Lorenzo è rimasto bloccato sul letto, ma illeso. Vivo. Come il nonno, uscito però un po’ acciaccato dal crollo, con una costola incrinata e l’incredulità di essere ancora tutto intero.
Con Lorenzo, proviamo a ricostruire ciò che ha vissuto. Il crollo, il salvataggio, il ritorno a casa, l’abbraccio con la sua famiglia e il suo accorato appello a non abbandonare Amatrice e gli altri comuni terremotati. Un appello che accomuna tanti, nel giorno dei funerali di Stato ad Ascoli Piceno, ai quali parteciperà anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Lorenzo, innanzi tutto, come stai?
«Fisicamente sto benissimo. Sono solo un po’ indolenzito, per essere rimasto a lungo immobile».
Cosa hai fatto la sera prima del terremoto?
«Ero a un falò. I miei amici volevano aspettare l’alba e sono rimasti nei campi, io invece ho deciso di andare a dormire – verso l’1.30, le 2 – e sono tornato a casa. Una decisione molto poco fortunata…».
Com’era la vostra casa?
«Pensavo che fosse solida. La casa di mio nonno, dove è nata mia mamma, era una delle più nuove del paese. Pensavo fosse sicura, non mi sarei mai aspettato niente del genere. Era formata dal seminterrato, dal primo piano dove c’era la cucina e dal secondo piano con le camere dove dormivamo. Poi c’era la soffitta, in cemento armato, che – nel crollo – i muri non sono riusciti a sostenere. Durante il terremoto è rimasta intatta, mentre i muri si sono piegati come dei sandwiches».
Cosa ricordi del terremoto?
«Non ricordo bene se ho davvero sentito la scossa. Mi sembra di aver sentito tremare il letto e poi il botto della casa che crollava. Ho fatto in tempo soltanto a mettere le mani davanti alla testa per proteggermi. Quando ho riaperto gli occhi era tutto buio, anche perché la casa è in una zona un po’ staccata dal paese, poco illuminata. La prima ora è stata terribile, ma non so proprio se era un’ora, ho perso il senso del tempo. Il soffitto era a pochi centimetri da me. Ho detto: “È finita”».
E tuo nonno?
«La stanza di mio nonno era affianco alla mia. Ha provato a chiamarmi, ma purtroppo non ci sente bene e non ha sentito che gli rispondevo. Ho pensato che fortunatamente eravamo entrambi vivi. Era un miracolo. Io ero anche in grado di muovermi un po’ perché crollando, il soffitto e i calcinacci hanno creato una sorta di gabbia, un rifugio, per me, che vibrava a ogni scossa, ma non crollava. Nonno, invece, era ricoperto di calcinacci. Per fortuna, però, sta bene. È uscito dalle macerie con una costola incrinata, che gli fa un po’ male quando respira. Ma sta bene. Mentre ero bloccato, sono riuscito a stare calmo. Se non ti agiti le pietre non si spostano. Ho pregato, ho detto dei rosari, poi quando nonno non mi ha più chiamato, quando non mi rispondeva, ho temuto il peggio e ho pregato per lui. Quello è stato l’unico momento in cui ho pianto. Dopo il crollo, un po’ per l’adrenalina, un po’ per lo spirito di sopravvivenza, ero riuscito a rimanere lucido».
Poi, sono arrivati i soccorsi…
«Quando la luce ha cominciato a filtrare tra le macerie, un’ora dopo, ma potrebbero essere stati anche solo 10 minuti, sono arrivati i trattori. C’erano i miei zii che mi parlavano e mi tenevano sveglio, e c’erano mio cugino e altri due amici, Lorenzo e Leonardo, a cui devo la vita. Hanno scavato un cunicolo tra due letti per cercare di liberarmi. Strisciando sono riuscito ad uscire. Ero in stato di shock e lì fuori, mentre mi abbracciavano, ho pianto. Poi, mi hanno dato dell’acqua e subito mi hanno portato in macchina. Non ho nemmeno guardato la casa. Ho visto cosa era successo mentre attraversavamo i campi. Ho visto Villa completamente distrutta. Era il paese della mia infanzia, avevo tanti amici, che sono fortunatamente vivi, ma che non so quando rivedrò. Conoscevo tutti: gli abitanti erano pochi e, almeno una volta, avevo parlato con ciascuno di loro. Mi sento miracolato, invece il paese è distrutto e tante persone sono morte. La mia terra era un paradiso e come tale deve essere ricostruito. Non abbandonate Amatrice, non la dimenticate».
(Nella foto, edifici crollati ad Amatrice)