Chuck Berry: l’ultimo dei grandissimi

Aveva compiuto 90 anni nell’ottobre scorso, non lontano dalla Saint Louis che gli aveva dato i natali, ed era uno dei padri indiscussi del rock’n’roll. Senza di lui la musica del '900 non sarebbe stata la stessa

Se non è morto su un palco, poco c’è mancato. Perché nonostante le 90 primavere sulla groppa, il vecchio Chuck ogni tanto tornava ad esibirsi e aveva ancora un bel po’ di progetti in cantiere.

Era cresciuto ascoltando e poi suonando il vecchio blues del Sud degli Stati Uniti. Suo padre era un pastore battista, e la sua famiglia apparteneva al ceto medio afroamericano, ma ciò non bastò a evitargli di finire in riformatorio per una bravata. Fu proprio lì che cominciò a pensare seriamente alla musica, mise su il suo primo quartetto, e una volta uscito – dopo aver sposato la sua Themetta che gli sarebbe rimasta accanto fino all’ultimo – iniziò la sua carriera, alternandola a qualunque tipo di lavoro che gli consentisse di mantenere la famiglia.

Il successo arrivò verso la metà degli anni ’50, quando lui e qualche altro spericolato, prese a mischiare la musica della sua gente con il country dei bianchi. Il segreto della formula rock’n’roll stava in fondo tutto lì, e presto se ne sarebbe accorto il mondo intero. Il contratto con la Chess Records, fu la svolta decisiva: nel ’55 incise a pubblicò Meybellene che vendette un milioni copie, l’anno seguente arrivò la mitica Roll Over Beethoven, e poi via via una manciata di classici che oggi sono sono parte integrante e indissolubile della leggenda rock, oltreché cameo nel repertorio di un’infinità di popstar: School Days, Rock’n’Roll Music, Sweet Little Sixteen, e soprattutto Johnny B. Goode, del quale si ricorda lo spettacolare duetto col Boss Springsteen e anche la mitica versione di Michael J. Fox in Ritorno al futuro.

Chuck Berry fu il primo ad immettere nelle sue canzoni tematiche e problematiche chiaramente adolescenziali dando voce a un’inquietudine generazionale che di lì a poco sarebbe deflagrata in tutto il pianeta. Ma non solo: fu il primo vero virtuoso del chitarrismo rock facendo da caposcuola a centurie di epigoni, e fu anche un fantastico animale da palcoscenico, e colui che seppe dare nobiltà d’arte a una cultura nata nei bassifondi e che anche grazie al suo estro si trasformò in un linguaggio cosmopolita e interraziale.

Joshua Gunter) MANDATORY CREDIT; NO SALES
Joshua Gunter) MANDATORY CREDIT; NO SALES

E restò un gigante anche quando, nella decade seguente, l’era aurea del rock’n’roll  tramontò per far spazio alla nuova ondata che arrivava dall’altra sponda dell’Atlantico. Ma né i Beatles, né i Rolling Stones, né gran parte delle formazioni degli anni ruggenti del rock poterono fare a meno delle sue lezioni. Lui stesso, a differenza di molti colleghi, non si limitò a fare il verso a se stesso o a crogiolarsi nel mito, ma continuò per la sua strada, pubblicando album (alla fine saranno una cinquantina) e altre canzoni memorabili; finì perfino alla Casa Bianca ad esibirsi per il presidente Carter. Per non dire dei premi e dei riconoscimenti ottenuti in carriera, e della serie ininterrotta di concerti che lo portarono in ogni angolo del mondo. Ebbe anche qualche altro guaio con la giustizia, ma ormai il Nostro era un’icona e spesso le pene si trasformavano in obbligo di fare tour gratuiti in giro per gli States… Li avrebbe fatti comunque perché per Berry i concerti, la musica, il contatto col pubblico erano l’ossigeno vitale. Basti dire che durante tutti gli anni ’80 continuò ad esibirsi al ritmo di quasi 100 date all’anno… Nel 2007 finì addirittura sul palco romano del Concertone del Primo Maggio.

 

            “Se vuoi provare a dare un altro nome al rock’n’roll, puoi chiamarlo Chuck Berry”, disse una volta John Lennon. E aveva ragione.

 

Aveva appena completato le registrazioni del suo ultimo album che dovrebbe uscire a giorni. Addio, vecchio Chuck. Adesso l’Olimpo dei grandi del rock primigenio è davvero al completo.

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