Christmas
Era giunto un altro Natale, improvviso, inatteso e non desiderato. Erano anni, ormai, che non desiderava natali. Una volta avevano un senso, un motivo spirituale. Significava, il Natale, una nuova nascita in spirito, come ricordava quel bambinello nella mangiatoia, circondato da due esseri umani di rara semplicità e da due animali ignari del loro compito: scaldare un bimbo che si dice fosse il figlio di Dio. Era buffo, ora, ricordare due vite ignote ma passate alla storia più grande dell’umanità, quelle di un bue e di un asino che avevano scaldato, in una fredda stellata notte di Palestina (ma c’è la tramontana in Palestina, a dicembre?), la venuta al mondo di un figlio di uomo. Passare dai 37 gradi dell’utero materno ai 10, o forse meno, di una notte invernale non è cosa piacevole, senza riscaldamento e coperte. Eppoi era il primo figlio, nato in una situazione decisamente precaria, lontano da casa e dal vicinato di Nazareth, in cui sicuramente c’era pronta la levatrice a far sgravare, aiutata da altre donne già cariche di figli e di affanni, quella giovinetta dall’aria inesperta e un po’ sulle nuvole. Ma quel bimbo doveva nascere lontano, senza un vicinato chiassoso e curioso che sarebbe corso a guardarlo, magari, per confrontare le somiglianze con Giuseppe, il falegname che lavorava il legno con la stessa mitezza con cui trattava i suoi simili. Secondo i suoi paesani Giuseppe era un caso particolare. È vero, anche Maria era un po’ originale, ma era femmina, giovane, perciò non stupiva più di tanto il suo carattere disponibile, la sua religiosità profonda e trasparente. Ma Giuseppe no, era un artigiano che doveva lottare per conquistarsi una clientela che però gli avrebbe permesso un tenore di vita appena discreto. Di clienti ne aveva, ma non erano tanti quelli che lo pagavano. Non s’arricchiva Giuseppe di Nazareth, ma mai aveva saltato un pasto e, soprattutto, mai alzato la voce, pronunciato una parola dura nei confronti di chi non gli pagava il pattuito. Tornarono a casa in tre, e la curiosità del paese si sbizzarrì più del solito. Da quella coppia di svitati poteva solo nascere uno svitato più di loro, disse qualcuno bonariamente: una battuta che col passare degli anni venne ricordata dai paesani come una profezia” Certo, se questa storia Luca e compagni l’hanno inventata di sana pianta sono stati veramente bravi, dei creativi pubblicitari ante litteram, si disse sorridendo con leggero movimento delle labbra. Fra tre giorni è Natale. Si vede dal traffico. Tutti impazziti, come sempre o forse peggio, se possibile. Tutto era fermo. Nell’aria resa torbida dalla nebbiolina serale e dallo smog, illuminata di rosso dagli stop delle macchine che aveva davanti, sulla sua stessa strada, tutto taceva, tranne il turbinìo dei motori accesi e i clacson dei meno pazienti. Perciò era un casino, altro che previgilia di Natale! Era riuscito ad estraniarsi da quella bolgia, facendo una quasi meditazione su un fatto raccontato in alcuni libri da tizi di tanti secoli prima, che ne avevano sentito parlare da altri che avevano sentito dire” Ora però l’incantesimo era rotto. Il caos non l’aveva mai amato, era in ritardo all’appuntamento, tutta la città era fuori in macchina a comperare regali per festeggiare un natale di consumi e di spese futili. Il solito natale in cui ognuno è solo con sé stesso e passa una giornata scontata mangiando a crepapanza e bevendo più del necessario. Magari rivedendo parenti che non ama, non potendone fare a meno, e giocando a quella stupida tombola con cui giocava quand’era uno stupido bambino” Un posto si liberava in un parcheggio. Riuscì ad arrivarvi prima degli altri e posteggiò soddisfatto. Aveva deciso di proseguire a piedi. Era contento perché non camminava più da tanto tempo, perché sentiva il bisogno di uscire da quell’inferno terreno, perché gli sembrava finalmente una scelta di libertà. E infatti si sentì libero, si calcò il vecchio berretto da navigazione in testa e indossò gli stinti guanti di pelle. Camminare, in quella situazione, può essere persino entusiasmante, pensò, guardando gli altri automobilisti fermi e travolti dalla rabbia, in colonna. Era uscito dal mucchio era un “solo”, finalmente dichiarato. Non come in automobile, dove si è comunque soli seppur credendosi al sicuro dentro una scatola di latta a motore inquinante, con tutte le certezze di onnipotenza che ne nascono. Un uomo solo in una città deserta di uomini. Prese a camminare di buon passo, e provò a fare lunghi respiri. Nei polmoni gli entrarono nebbia e smog. Ma avrebbe continuato a camminare, si sentiva bene nella condizione di pedone. Gli parve oltretutto un modo di celebrare il Natale. Si chiese cosa avrebbe fatto quel bambino lì, in una città così ingolfata” avrebbe camminato, o sarebbe rimasto in automobile? Ma, soprattutto, sarebbe poi nato e vissuto in un posto simile? Camminando camminando si chiese quanti anni erano che non capitava più da quelle parti. Quella stazione la conosceva bene, ed ora era irriconoscibile, tutte luci e negozi invitanti, altro che lo stile severo ed autarchico del ventennio che lui ricordava bene! Si accorse del cambiamento anche dai barboni, anzi le barbone, che incontrò sulla via, sotto cartoni di recupero, che dormivano o morivano, tanto era uguale, sotto gli occhi di gente che non guardava. Si fermò davanti ad un cartone, era o non era abitato? Qualcuno dei passanti rallentò per guardare lui, che si era fermato per guardare un clochard” no, il cartone era vuoto, abitato probabilmente solo di stracci, non c’era nessun morto dentro. Si chiese se avrebbe incontrato sotto un cartone anche una palestinese che stava partorendo un figlio di Dio. Sarebbe nato qui, oggi, sotto un cartone emarginato, non certo dentro un’automobile incolonnata per fare spese” Giunse all’incontro con Elena con discreto ritardo. Lei lo attendeva con aspetto corrucciato, ma era naturalmente solo apparenza. Cercava di non far trasparire del tutto la sua indole, tentando camuffamenti improbabili anche per chi appena la conosceva. Risero entrambi di cuore, dopo un abbraccio denso d’affetto. Non si vedevano da tanto tempo, ma spesso si erano scritti. Appartenevano alla rara specie di umanità che ancora scrive lettere, seppure via fax o Internet, invece di telefonare. La loro vita ed il loro rapporto erano cresciuti paralleli, erano fatti l’uno per l’altra ma tardavano a dirselo, come se ambedue volessero gustare fino in fondo quella sorta di innamoramento iniziale che da sempre racchiude momenti magici, come ora d’altronde, con un vivere quasi da persone mature e non da giovani come essi erano. Si dissero qualcosa del tempo e del ritardo e del traffico e del Natale incombente e dei regali. Lui voleva dirle qualcosa di ciò che aveva vissuto nel suo cuore nelle ultime ore, ma esitò: magari rovinava tutto, lei non avrebbe capito. Poi, però si decise e le raccontò del bue e della Palestina e delle clochard e delle automobili” Sentì di aver fatto un passo grande, dentro, quando vide che gli occhi di lei avevano capito, erano lucidi di commozione. In mezzo al caos natalizio di un’affollata e distratta stazione ferroviaria lei lo abbracciò, lo baciò, si baciarono, si abbracciarono, si dissero buon Natale, è questo il vero Natale, grazie di esistere, auguri veri”