Chiude la festa del cinema di Roma

Una buona rassegna che piano piano sta trovando la propria personalità. L'inquietante The place

Dopo 109 film e tante “ospitate” di personaggi più o meno celebri, la festa è finita. Un buon risultato, film di livello, qualcuno ottimale, una rassegna che sta trovando la sua personalità, diretta da Antonio Monda, riconfermato per un triennio.

Il quale oltre ad aver portato star come David Lynch, Orlando Bloom, Vanessa Redgrave, Xavier Dolan, Cristoph Waltz, Jake Gyllenhaal e amici (ovvio, anche le nostre come Proietti, Moretti, Verdone e compagni), ha visto aumentare le vendite dei biglietti del 13 per cento e la presenza dei media del 22 per cento. Poi, evitando la serie del Concorso, ha fatto respirare le altre diverse sezioni, distinguendosi dai concorrenti (?) Venezia, Toronto, Cannes, Torino.

Prima fra tutte, Alice in città, con 40mila presenze ed una schiera di lavori più per ragazzi 15-17anni che per bambini, tant’è vero che il premio è andato al duro e intenso The best of all words di Adrian Goiginger, storia del rapporto tra una madre tossica ed un figlio che la fa quasi “resuscitare” alla vita. Ma altre vicende spiazzanti sono state filmate da autori italiani, come l’immaginifico Guarda in alto di Fulvio Risuleo e il tragico L’età imperfetta di Ulisse Lendaro.

Il grande pubblico si è orientato invece sulla vicenda umana e agonistica di due campioni del tennis cioè Borg e McEnroe nel film diretto dal danese Janus Metz Pedersen. Preferenza prevedibile data l’assuefazione alle grandi storie lanciate da Hollywood come dalle serie televisive. Il film regge, è spettacolo e biografia, avrà successo giovedì 9 quando uscirà in sala.

Peccato però per altri film meritevoli, come Logan Lucy, a mio parere il migliore della selezione ufficiale, che non ha ottenuto riconoscimenti. È accaduto anche al lavoro dei Taviani Una questione privata. Scandagliando il romanzo difficile di Fenoglio, i due hanno reso l’aria nebbiosa fisica e intima dei rapporti umani – una storia d’amore ” a tre” sul filo tra gelosia e rimorso – in un film indugiante, fatto di natura e di sguardi colti con l’occhio distaccato di chi è avanti con gli anni. Non un capolavoro di sicuro, però forse incompreso da chi si aspettava il solito lavoro sulla Resistenza.

Inquietante è l’ultimo lavoro di Paolo Genovese, The Place, presentato la mattina del 4. Un fila di individui come dei questuanti va ogni giorno a colloquio con un personaggio misterioso in un bar, sempre al solito posto. Chiedono cose in apparenza impossibili: un cieco di riavere la vista, una suora di sentire ancora Dio, una anziana di far guarire dall’Alzheimer il marito, mentre un padre di far guarire il figlio in ospedale, una ragazza di diventare più bella,una donna di recuperare il marito, un poliziotto l’affetto del figlio, un operaio di trovare un amore…

Quest’uomo impassibile di scarse parole, lo sguardo tristissimo e duro, chiede in cambio un contratto (come nel Faust) per ottenere ciò che ciascuno vuole: sono cose tremende, un omicidio, una violenza sessuale, un furto, una bomba, un adulterio… Ognuno riflette, accetta, poi si pente, poi torna sui suoi passi e lui – il destino, il diavolo, Dio, la coscienza? – interviene, cambia contratto quando si può, ma non torna mai indietro.

E le storie dei personaggi, ognuno un mondo ansioso e disperato, si susseguono, si intrecciano, hanno degli esiti anche felici imprevisti oppure oscuri. L’uomo (un grande Valerio Mastandrea che recita per “sottrazione”) sembra un burattinaio che muove il destino delle persone, ma poi se ne allontana e lascia a loro la libertà di decidere. Siamo davvero liberi di decidere anche per azioni amorali o immorali pur di ottenere quello che vogliamo, fosse anche il male?

Nel film dove la scena è unica, scandita da un ritmo impietoso, gelido, le persone sono poste davanti a scelte inquietanti, hanno la libertà di farle o meno. Lui, la sera, con la cameriera (Sabrina Ferilli) lentamente parrebbe svelarsi: si porta dentro una sconsolatezza grande, che è poi quella di ogni personaggio. Forse Genovese vuol affrontare quella solitaria, inquieta ricerca di felicità e di amore che invade ciascuno di noi in questo tempo dove tutto è sempre uguale come il bar-personaggio, presenza-assenza monotona eppure viva.

Interpretato da un cast tutto italiano (Papaleo,Giallini, Silvio Muccino, Giulia Lazzarini e amici) il film lascia le risposte allo spettatore. Rimane disturbante anche sul genere: thriller psicologico, metafora, commedia? Non perfetto (i dialoghi sono troppo letterari, la musica talora pesante), pure lascia una spina, una domanda: siamo davvero fatti così, abbiamo il coraggio di svelarci anche il male che potremmo fare? Ciascuno darà una risposta.

Bilancio in conclusione positivo per la festa, che tuttavia non è riuscita a coinvolgere del tutto la città, come si desiderava. C’è ancora da fare, come scelta di località (il cinema Admiral lontanissimo dall’Aditorium) e tono talora un poco provinciale. Ma si è sulla strada buona, Monda per l’anno prossimo ha scelto come tema la commedia. Speriamo sia un po’ divina.

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