Chissà se i soldi Bce arriveranno alle aziende

La Banca centrale europea può acquistare titoli di Stato. Quale garanzia abbiamo che gli istituti di credito li useranno per far prestiti alle imprese quando con meno rischi e meno impegno professionale esistono fonti alternative di profitto?
Sede della Bce

Smentendo i banchieri tedeschi, la Corte Europea di Giustizia ha confermato che la Bce può acquistare titoli di Stato per mettere in circolo la liquidità necessaria alle aziende e ciò che può realizzare il cosiddetto Quantitative Easing, già applicato da altre banche centrali per far uscire i loro paesi dalla recessione.

Ma il Quantitative Easing saprà davvero combattere la deflazione e la disoccupazione europea? Certo meglio che niente, ma ricordiamoci che nessuno potrà obbligare le banche a vendere i loro titoli di Stato per far prestiti alle imprese, quando un numero crescente di esse ha difficoltà a rimanere nei limiti del fido ed a pagare le rate dei mutui. Dovrebbe essere compito delle banche finanziare le attività produttive, ma quando con meno rischi ed impegno professionale esistono alternative di profitto, chi convincerà gli istituti di credito a scegliere la via più difficile?

Esse invero dovrebbero ricordare che non sono fallite grazie agli interventi dello Stato e della Bce che si sono rivelati nodi insostituibili del sistema economico. Draghi ha fatto loro per tre anni il corposo regalo di concedere prestiti praticamente illimitati al tasso dell’uno per cento, prendendo in garanzia i titoli in loro possesso. Tramite questi prestiti esse hanno acquistato titoli di stato di alto rendimento, che hanno potuto a loro volta offrire in garanzia per ulteriori prestiti della Bce e così via. Le prime quattro banche italiane hanno in cassaforte titoli di stato per 160 miliardi di euro, dal cui rendimento ottengono circa 5 miliardi all’anno dal Tesoro, il quale ne ha tratto il vantaggio di non dover vendere quei titoli sul mercato internazionale, con crescita dello spread e del costo del debito.

I soldi della Bce sono arrivati solo alle aziende in grado di offrire solide garanzie, secondo la logica che a Genova si descrive “cieuve sempre in sciu bagnou” (piove sempre sul bagnato) e non si è trovato modo di aiutare le imprese che con più credito potrebbero rimanere in attività, intanto però, con gli utili dei titoli di stato ottenuti con i soldi della Banca europea, le grandi banche italiane – escluse Monte dei Paschi e Carige – sono riuscite a rifarsi il trucco e passare indenni l’esame della severa Commissione Bancaria Europea che dall’anno scorso, per nostra fortuna, ha il compito di marcarle strette.

La piccole aziende pagano adesso l’errore occidentale di affidare alle logiche del mercato un delicatissimo servizio pubblico, quello del raccogliere il risparmio dei cittadini e convogliarlo a chi lo utilizza per produrre beni e posti di lavoro. Questo servizio pubblico dovrebbe essere prestato con margini di guadagno molto contenuti, ma se lo si affida ad una società che deve distribuire dividendi ai soci, essa li vorrà rilevanti, introducendo così sabbia negli ingranaggi della intermediazione finanziaria e impedendone il funzionamento nei settori più a rischio.

Per far risollevare l’economia con un tale sistema bancario, la Bce ha adesso portato quasi a zero il costo del denaro e il rendimento dei titoli di Stato più affidabili, sperando di orientare verso le aziende il risparmio dei privati e delle banche, esigendo da esse una penale se, invece di investire la liquidità, la depositano presso di essa; ma non è detto che questo basti a farle decidere a finanziare aziende italiane con rischi di insolvenza, riducendo la loro capacità complessiva di credito che è legata al rischio di ogni singolo prestito.

Sarebbe diverso se la Bce decidesse di finanziare quei consorzi di garanzia che le aziende creano per ottenere un più facile accesso al credito, assumendosi parte del rischio legato a nuovi presti alle aziende in difficoltà o a nuove attività, riducendo ad un livello commercialmente accettabile quello assunto dalle banche.

Riguardo poi a Monte dei Paschi e Carige, dove la commistione tra politica ed affari ha svuotato di risorse le  fondazioni loro prime azioniste, esse potrebbero costituire l’occasione per tornare a disporre di banche pubbliche per lo sviluppo, con azionisti stabili la Bce tramite la Banca d’Italia, e il Ministero del Tesoro, senza indulgere in alchimie che finiscono per convogliare denaro pubblico nelle tasche di privati; sarebbero due banche senza obiettivi di grandi profitti per tutti noi azionisti, ma dedicate alla raccolta del risparmio e pronte a rischiare con la garanzia di tutti il finanziamento delle piccole e medie imprese capaci di creare nuovo lavoro, oggi così cruciali per la nostra Italia.

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