Chiesa e giustizia, dov’è il problema?

Tanti in Belgio hanno trovato disgustoso lo spettacolo offerto in pasto ai media e il modo di procedere durante la perquisizione a Malines. La riservatezza dei dati delle vittime. Corrispondenza da Bruxelles.
Malines

Hanno fatto il giro del mondo le immagini dell’arrivo degli investigatori del giudice per le indagini preliminari di Bruxelles nel palazzo arcivescovile di Malines, dove risiede da secoli il primate della Chiesa belga. E sempre ieri il pediatra P. Adriaenssen, responsabile della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa, molto apprezzato dal pubblico e dalle autorità ecclesiali, ha presentato per protesta le proprie dimissioni.

 

Crisi tra i vescovi e chi avevano delegato a raccogliere i dossier sugli abusi che non cadevano sotto la legge perché prescritti (vittime di oltre 28 anni)? No, crisi di fiducia tra questo approccio più “leggero” al problema, fuori dell’ambito giuridico, e quello formale dei giudici delle indagini preliminari.

 

Oggi il presidente della Commissione e il ministro della Giustizia, che aveva appositamente delegato due giudici come interlocutori della Commissione nel caso fossero sorti problemi di rispetto dei confini della giustizia, si sentono scavalcati dalla dimostrazione di forza del giudice dell’indagine preliminare.

 

Il ministro ha detto voler una riconciliazione tra la Commissione e il giudice, ma per Adriaenssen, il guaio è ormai fatto. Semplici beghe tra una Commissione non giuridica e la giustizia? Lotta per il dominio del territorio? Si sperava che la Commissione potesse in ottobre chiudere il lavoro e trasmettere, se era il caso, certi dossier al giudice, in accordo con chi aveva segnalato un caso. Il giudice non ha aspettato ottobre e ha scatenato un putiferio dimostrando la sua forza, perché la legge è con lui.

 

È stata una mossa corretta? Si può dubitare. Tante vittime (3 su 4, per più di 400 dossier) anche dopo trenta, quarant’anni hanno fatto conoscere alle Commissione il loro vissuto perché desideravano che in qualche maniera la loro sofferenza fosse riconosciuta da una autorità responsabile, ma sotto la condizione che non fosse trasmesso alla giustizia. Non volevano coinvolgere la loro famiglia o terzi, o che la cosa diventasse pubblica.

 

Ora, la giustizia ha preso tutti i dossier, anche quelli che le vittime volevano fossero riservati alla Commissione indipendente. Il giudice istruttore ha il diritto, quando ha il sospetto che qualcosa sia stato fatto contro la legge, di istruire un caso. Ma era veramente tutto cosi urgente, da non poter attendere qualche mese? Era necessaria quella dimostrazione di onnipotenza? Molto dello stile con cui è stata condotta l’inchiesta è legato alla personalità del giudice.

 

Il cardinale Danneels ha subito dichiarito che rispetta il lavoro della giustizia, la quale deve perseguire il suo corso. Il Vaticano, e tanti in Belgio, hanno trovato disgustoso lo spettacolo offerto in pasto ai media e il modo di procedere, in parte forse legittimo (vi sono ragioni legate al tipo d’inchiesta), ma c’è sempre modo e modo di fare qualsiasi cosa.

 

Certo, i racconti nei giornali belgi, descrivendo l’apertura in fondo assai discreta delle tombe di defunti cardinali, fanno capire che all’estero si è anche esagerato parlando di tombe profanate, ecc. Ma intanto una nuova figura sociale, che giovava molto alla volontà reiterata della Chiesa a fare trasparenza, la Commissione indipendente, è stata distrutta. Se è solo perché la giustizia voleva fare vedere chi comanda, il prezzo pagato è stato alto.

 

Non rimane che avere fiducia in una conclusione diversa, sperando che per le vittime che non volevano pubblicità non ci siano conseguenze ancora più traumatizzanti.

 

 

 

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