Chiesa al plurale
È un impegno corale, da tutti sentito. Saper ridire con parole nuove Dio all’uomo contemporaneo è una riflessione che coinvolge non solo la Chiesa di Roma, ma tutte le Chiese cristiane. Si parla dunque al plurale al Sinodo dei vescovi per la nuova evangelizzazione. E questo grazie alla presenza dei delegati fraterni delle altre Chiese. Presenza preziosa, inedita, certamente poco notata in un mondo in cui facilmente le differenze o si annacquano per indifferenza o sono causa di competizione e conflitto per ignoranza.
E invece qui sono segno di una Chiesa universale che sta cercando di entrare nel cuore dell’uomo, ovunque esso sia, a costo anche di andarlo a cercare – diceva papa Benedetto XVI – in quel deserto spirituale in cui talvolta si trova.
Con il Sinodo e il 50° anniversario del Concilio Vaticano II, si è aperto dunque l’Anno della Fede. E come fu per la Porta Santa nel Giubileo del 2000, si è aperto a più mani: alla presenza del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e dell’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, leader spirituale della Comunione anglicana. Segno evidente allora che la Chiesa non può parlare di fede, speranza e carità, se non lo fa con “un cuor solo e un’anima sola”.
Sono parole gravi quelle che il Patriarca Bartolomeo I pronuncia sul sagrato della piazza San Pietro nella cerimonia solenne di apertura dell’Anno della Fede: “Nell’attuale crogiolo di violenza, separazione e divisione che va intensificandosi tra popoli e nazioni, che l’amore e il desiderio di armonia che dichiariamo qui, e la comprensione che cerchiamo con il dialogo e il reciproco rispetto, siano di modello per il nostro mondo”.
L’Anno della fede dunque è per tutti ma lo è soprattutto per coloro che vivono in Medio Oriente, per chi soffre a causa della fame, delle catastrofi naturali, delle malattie e della guerra. È il deserto in cui spesso si trova l’umanità, di fronte al quale ogni trionfalismo si sgonfia, ogni pianificazione fallisce.
Spiazzano e sorprendono le parole che l’arcivescovo Williams pronuncia in assemblea. Ad ascoltarlo in aula c’è anche il Papa. Un’autentica iniziativa di evangelizzazione – dice – sarà sempre anche una evangelizzazione che parte da noi stessi, che parte cioè dal motivo per cui la nostra fede è essenziale per noi. Ecco perché – osserva Williams – diventano sempre più cruciali nel mondo di oggi luoghi come Taizé e Bose, e “le grandi reti spirituali, come Sant’Egidio, i Focolari, Comunione e Liberazione”. Nel suo intervento, Williams cita anche Chiara Lubich perché – ricorda “l’imperativo fondamentale” nella sua spiritualità era di “diventare una cosa sola”, “una cosa sola con il Cristo crocifisso e abbandonato, una cosa sola, per mezzo di lui, con il Padre, una cosa sola con tutti coloro che sono stati chiamati a questa unità e, in tal modo, una cosa sola con i bisogni più profondi del mondo”. Solo se si è a questa altezza, il Vangelo di Cristo potrà ancora una volta essere "irresistibilmente attraente per gli uomini e per le donne del nostro tempo”.
Sì, parla al plurale il Sinodo dei vescovi. E i doni dell’uno penetrano, arricchiscono e diventano patrimonio anche dell’altro. Prendono la parola l‘arcivescovo Leo di Karelia, primate della Chiesa ortodossa finlandese, il presidente della Conferenza delle Chiese europee (Kek), il metropolita ortodosso di Francia Emmanuel, il metropolita e arcivescovo di Targoviste (Romania) Nifon. Risuonano parole come ascolto, silenzio, umiltà. Ma anche l’appello ai padri sinodali di prendere in “considerazione nelle vostre riflessioni la dimensione ecumenica dell’evangelizzazione”, nella consapevolezza che se i cristiani si discostano gli uni dagli altri, il loro messaggio di amore al mondo perde di vigore e credibilità.