Chiedere perdono ai senegalesi
Abbiamo chiesto un commento a Massimo Toschi, consigliere del presidente della regione Toscana per la cooperazione internazionale, sulle vittime dei mercati di Firenze
Firenze si è svegliata sfigurata. L’uccisione di due senegalesi e il ferimento di un’altro al mercato di piazza Dalmazia e poi gli altri colpi esplosi contro altri due venditori, sempre senegalesi, al mercato san Lorenzo, hanno lasciato la città attonita. Autore del gesto Gianluca Casseri, un cinquantenne di Pistoia che dopo le sparatorie ha deciso di togliersi lui stesso la vita. Segnali di malessere sociale e di conflittualità con le comunità straniere? Oppure il gesto di un folle?
Abbiamo raggiunto al telefono Massimo Toschi, consigliere del presidente della regione Toscana per la cooperazione internazionale che da anni lavora a progetti di collaborazione con le comunità straniere e si batte per progetti di accoglienza e di convivenza.
Come rispondere ad un gesto così efferato?
«Quanto è accaduto è di una gravità assoluta. La prima cosa da fare è chiedere perdono perchè i senegalesi, da sempre, sono una presenza importante nella nostra comunità e su tutto il territorio regionale. La politica non ha vigilato sufficientemente perché questo non accadesse. La ferita è profonda e non ci si può sottrarre da un’assunzione seria di responsabilità. Non abbiamo fatto abbastanza».
Cosa sta succedendo al modello di accoglienza Toscana?
«I rapporti con la comunità senegalese sono forti e stabili e sono le persone con cui collaboriamo di più. La Regione si è sempre adoperata per garantire un buon livello di accoglienza. Il presidente del Senegal Léopold Sédar Senghor nel 1962 venne accolto da Giorgio La Pira, lo scorso anno l’attuale presidente ha ricevuto un premio dalla regione Toscana. Aver aggredito questi ragazzi nel cuore della città non è un problema di ordine pubblico, ma è un problema politico e culturale. La politica non si rende conto dei segnali che operano nel buio. Sono segni che dobbiamo saper leggere».
Sta imputando gravi responsabilità alla classe politica…
«Il dato di fatto è che non siamo stati capaci di difendere la comunità senegalese. Non siamo stati capaci di impedire il sorgere della mala pianta della violenza e del razzismo e questa può rinascere continuamente nonostante i tanti progetti di accoglienza. Le nostre azioni politiche, i nostri discorsi aggressivi, le parole violente producono questi frutti. Ricordo quando un giovane senegalese, qualche anno fa, perse la vita per salvare un uomo che stava annegando. Ricevette la cittadinanza onoraria, ma non arrivò nessun grazie da colui che era stato salvato. Questo deve farci pensare: per difendere una comunità non sono sufficienti le armi».
Cosa attivare, allora?
«Penso alle agenzie educative, la scuola e non solo. Tutte hanno la responsabilità di seminare nei giovani e nei meno giovani semi di accoglienza, di rispetto».
Ma non pensa si tratti di un episodio sporadico…
«Lo ripeto: Firenze doveva fare di più. Questi episodi non possono mai accadere. Bisogna prevenire e mettere in atto strumenti adeguati. Un episodio analogo si è visto solo a Caserta. Lì ad armare la mano contro i senegalesi è stata la camorra. E’ vero che i luoghi sono diversi, ma è la cultura della violenza ad averli generati entrambi. Anche il rogo a Torino deve farci riflettere. Non nego la responsabilità di chi ha compiuto questo assassinio, ma la politica era troppo distratta e tutto quello che abbiamo fatto non è bastato. Bisogna far tacere le parole retoriche e di propaganda e sapere che non è più tempo per lustrini e palcoscenico: la politica deve convertirsi e assumere le storie che irrompono nei nostri territori e nelle nostre vite. Non devono cambiare gli altri ma noi».