Chiara Luce, il dopo
I ricordi, i giovani e la Polonia nell'ultimo appuntamento con il libro del mese “In viaggio con i Badano. I segreti di un segreto” di Città Nuova editrice.
«Torneremo in Francia – ci spiega l’autore del libro In Viaggio con i Badano, Franz Coriasco – , ad inizio dicembre, questa volta per alcune tappe nel Sud. È già la terza volta in meno di un anno: non so, c’è qualcosa di speciale che lega Chiaretta ai francesi. Il loro approccio “problematico” alla vita me li fa sentire particolarmente vicini, e credo che proprio per questo la sua sublime semplicità li colpisca nel profondo. Proprio come ha fatto con me». La prossima tappa che vedrà impegnati i genitori di Chiara Luce Badano e Franz Coriasco, fa parte di una sorta di "dopo Chiaretta" ma che ancor oggi è un "eterno presente" per i frutti e il dialogo con tutti, come ci spiega l’autore del libro nel brano che segue.
Con i Badano e Chicca siamo in Polonia da qualche giorno. I lunghi trasferimenti in macchina ci hanno consentito di continuare a parlare a lungo di Chiara, di far emergere sempre nuovi particolari della sua – e della loro – vicenda terrena, e anche di cominciare a riassumere le tappe salienti del “dopo”. Siamo appena stati a Wałbrzych, nella Bassa Slesia, dove i Badano erano stati invitati per l’inaugurazione di una vetrata di una chiesa: il parroco, dopo la beatificazione di Chiara, aveva deciso di aggiungere alla vetrata una sua immagine.
Mentre attraversiamo in auto le verdi campagne della Slesia,Teresa sovviene un ricordo.
MT. Poco fa pensavo a quando Chiara tornava dagli allenamenti sui pattini a rotelle… Era uno sport che le piaceva mlto, ed era anche piuttosto brava, solo che non riusciva ai a fare bene i salti. Così quando tornava le chiedevo se finalmente ce l’avesse fatta. E lei, ogni volta, con un tono un po’ triste: «No mamma: anche oggi non ce l’ho fatta!». Cercavo sempre di rincuorarla: «Vedrai, Chiara, che prima o poi ce la farai», le dicevo. Quelle parole mi sono tornate in mente quando lei è morta. E mi è venuto da dirle: «Hai visto, Chiara, che ce l’hai fatta? E che salto bellissimo hai fatto, stavolta!».
Eppure, e lo ribadisco da testimone a latere, uno dei presumibili e più tangibili miracoli operati da Chiara Luce Badano e che non c’e alcun “dopo” da raccontare poiché la sua storia sembra vivere tutt’ora come sospesa in un perenne presente.
Un presente che accomuna amici d’infanzia e compagni di scuola, testimoni della prima ora e chi l’ha conosciuta magari solo in virtù della bagarre mediatica legata alla sua beatificazione; o chi solo ieri, magari grazie a una biografia, un dvd, uno spettacolo o un sito internet… Del resto se, come affermano i teologi, in Dio c’e solo un eterno presente, allora e ovvio che sia cosi anche per chi ora vive ormai stabilmente in quella realtà.
Ciò non toglie che per noi umani la linea di demarcazione che separa questa parte del Cielo dall’altra e cosa tutt’altro che irrilevante. Una cosa che molto spesso noi umani definiamo “mancanza”, per quanto a volte ci si possa mancare anche da vivi… Quand’è che Chiaretta vi manca di più, e qual e la cosa di lei della quale sentite più nostalgia?
RU. Chiara ci aiutava molto a essere concreti nel nostro amore, anche come coppia. Ed è proprio questa parte che faceva così bene quella che oggi ci manca di più.
MT. A proposito della “mancanza”, ti racconto questo fatterello. Una volta siamo andati nell’alloggio di Savona per risistemare la casa. Dopo la sua morte non aveva più senso restare a Savona, tanto più che ogni angolo di quell’appartamentino ci parlava di Chiara. Pensa che ogni volta che sentivo l’ascensore
fermarsi al piano, mi veniva da pensare: ecco che ritorna… Una cosa straziante insomma, uno dei momenti più duri che abbia mai provato, forse più ancora di quando è “partita”. Chiara era morta da poco ed ero tristissima, mi sentivo vera mente un relitto alla deriva, senza aver più nulla da dare: non
solo a Chiara, ma anche agli altri. Mi veniva da piangere, mi sembrava che la mia vita, senza di lei non avesse più alcun senso. A un certo punto, mentre stavo rassettando la cucina, vedo sbucare dalla paletta dell’immondizia un bigliettino, scritto a mano da Chiaretta, che riportava un celebre passo della Lubich:
«Amare, amare sempre, amare tutti. Per poter dire alla fine di ogni giorno: ho sempre amato». Mi è subito sembrata una sua risposta, quasi volesse far sentire di essermi più vicina che mai. E di lì a poco, in fondo a una scatolina, trovo la favola de Il Flautista e la Principessa del nostro amico Walter
Kostner: la storia di un grande flautista che a un certo punto diventa sordo; è disperato, comincia a girovagare senza meta, finché incontra la figlia di un re, disperato anche lui perché la principessa sua figlia non sorrideva mai. Il flautista allora suona per lei, per amore, e riesce a farla sorridere come nessuno era mai riuscito a fare: semplicemente guardandola negli occhi. E comprese, allora, quello che avrebbe potuto dar senso alla sua vita: proseguirla facendo sorridere gli altri, per amore appunto,
rinunciando alla propria felicità per donarla agli altri. Mi è sembrato un altro regalo di Chiara fatto apposta per farmi superare quel momento.
Ci tenete sempre a sottolineare quanto Chiara amasse i giovani e il fatto che abbia dato la vita soprattutto per loro. Secondo voi, alla generazione smarrita di oggi, Chiara cosa direbbe?
MT. Ripeterebbe quel che ha detto ai suoi coetanei poco prima di morire: di portare avanti, come in una staffetta olimpica, quel testimone che è passato da lei a loro. Ora sono loro che devono correre… E devono credere che con Gesù al loro fianco davvero possono fare cose straordinarie, anche più di lei.
Certo una staffetta è una staffetta, dunque vuol dire che i giovani che oggi guardano a lei come a un modello, non possono fermarsi al suo bel sorriso o a una bella foto: quella fiaccola la devono portare avanti, non lasciarla lì guardandosi indietro…
CH. Se posso aggiungere una parola a questo proposito, una cosa che Chiaretta ricordava spesso è che, come ci diceva sempre Chiara Lubich, abbiamo una vita sola e che vale la pena spenderla bene».