Chiara Lubich, il Patto di unità e l’entrata “nel seno del Padre”
Il 16 luglio 1949, di mattina presto, nella chiesa dei Cappuccini a Fiera di Primiero, sulle Dolomiti, inizia per Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, un periodo di luce che segnerà per sempre la sua vita. Riviviamo quello che successe dalle sue parole, con questo testo estratto da un articolo della rivista Unità e carismi
L’irrompere del mistero trinitario ha – per Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari – una data precisa, il 16 luglio 1949, al mattino presto, in un luogo determinato, la chiesa dei Cappuccini a Fiera di Primiero, sulle Dolomiti. Quel momento puntuale è preceduto da un intenso cammino di anni che conosce tappe significative.
Una delle prime possiamo riscontrarla in una esperienza eucaristica, quando, a sei anni, durante un tempo di adorazione, ripete insistentemente a Gesù di entrare in lei con la sua luce e il suo calore. Potremmo ricordare altri momenti: come quando a 13 anni, improvvisamente, in fondo a via del Torrione, nella sua città di Trento, si sente invitata al martirio; o quando, sulla strada della Madonna bianca, ha l’impressione che il cielo si apra e avverte la chiamata a darsi tutta a Dio o ancora a Loreto, quando si vede seguita da una bianca schiera di vergini…
Ma Chiara Lubich, rievocando il 16 luglio 1949, non pensa tanto alle tappe della sua vita, quanto piuttosto a quelle percorse insieme alla nuova comunità a cui ella ha dato vita, il focolare, assegnandone l’inizio al 7 dicembre 1943, giorno della sua personale consacrazione a Dio nella verginità.
Veniamo al momento iniziale, a quanto avvenne la mattina del 16 luglio, scritto in maniera particolareggiato da Chiara l’8 aprile 1986. La scintilla che fece scattare quella che ella chiama “l’entrata nel seno del Padre” è il cosiddetto “patto d’unità”, stipulato tra lei e Igino Giordani, a cui aveva dato il “nome nuovo” di Foco. Cos’era avvenuto in quel patto d’unità che aveva aperto la porta del cielo? L’ha spiegato Chiara stessa l’8 dicembre di quel 1949, a pochi mesi dall’esperienza, quando aveva già compreso la portata cristologica e trinitaria dell’evento:
“… quando due di noi, sapendoci nulla, facemmo che Gesù Eucaristia patteggiasse unità sulle due nostre anime, avvertii d’essere Gesù. Sentii l’impossibilità di comunicare con Gesù nel tabernacolo. Provai l’ebbrezza d’essere in vetta alla piramide di tutta la creazione come su una punta di spillo: nel punto ove i due raggi convergono: ove i due Dio (per così dire) patteggiano unità, trinitizzandosi ove, essendo stati fatti Figlio nel Figlio, è impossibile comunicare con alcuno se non col Padre, come il Figlio comunica solo con Lui.
È il punto dove il creato muore nell’Increato, ove il nulla si perde nel Seno del Padre, ove lo Spirito pronuncia sulla nostra bocca: Abbà, Padre”.
Quella vissuta il 16 luglio 1949 è un’autentica esperienza trinitaria in cui sono implicate tutte e tre le Divine Persone.È innanzitutto un’esperienza pasquale, eucaristica, e quindi cristologica.
È esperienza pasquale come lo è ogni esperienza mistica che deve poter ripetere con Paolo: “Non sono più io che vivo” (è quindi un’esperienze di morte), e insieme “Cristo vive in me” (è un’esperienza di resurrezione).
Nell’esperienza di Chiara la morte di sé (“Non sono più io che vivo”) diventa la tipica “morte” di Gesù: il “patto” è, infatti, stipulato sul nulla di sé, ossia sulla misura di Gesù abbandonato che è “infinita nullità”, è una immedesimazione col suo mistero di annientamento che, come vedremo, è via di accesso al Padre. Vivere l’amore fino alla misura dell’Abbandonato è ripercorre l’itinerario pasquale di vita e di morte di Cristo per giungere con lui alla risurrezione e alla pienezza della vita. Nell’esperienza di Chiara la risurrezione (“Cristo vive in me”) è il Risorto in noi e in mezzo a noi, con “Gesù in mezzo”.
È un’esperienza eucaristica che porta a piena maturazione la grazia del sacramento, la trasformazione in Cristo e la creazione della Chiesa quale Corpo di Cristo. Chiara non può dire la parola “Gesù” perché immedesimata in lui: “avvertii d’essere Gesù”. È dunque esperienza cristiana, di trasformazione in Cristo.
È un’esperienza teologale perché, figlia nel Figlio, Chiara pronuncia la parola “Padre”. La pronuncia come la pronuncia il Figlio, nell’atto di tornare al Padre, nel donarsi a lui. Come il Figlio è cosa sola con il Padre e vive nel Padre, così Chiara, fatta una cosa sola con il Figlio, in lui diventa una cosa sola con il Padre e vive nel Padre. Questa realtà teologale le è dato non soltanto di crederla, ma anche di percepirla sensibilmente. È e si sente nel seno del Padre, come il Figlio, con il Figlio, perché fatta Gesù.
È un’esperienza spirituale perché è lo Spirito Santo che le mette sulla bocca la parola Padre. Si è trovata, come scrive lei stessa, nel punto “ove lo Spirito pronuncia sulla nostra bocca: Abba, Padre” (cf. Rm 8, 15-17; Gal 4, 6).Una ulteriore dimensione fondamentale dell’esperienza di Chiara è, come abbiamo accennato precedentemente, quella ecclesiale, comunitaria. Ogni autentica mistica cristiana è tale perché fatta da una persona inserita nel corpo mistico e a vantaggio di tutto il corpo mistico. Lo è soprattutto quando essa avviene nell’ambito sacramentale, soprattutto in quello eucaristico, come è accaduto il 16 luglio 1949.
Se è vero che ogni esperienza mistica cristiana è ecclesiale, quella di Chiara lo è in modo più evidente, esplicito, e possiede tratti di novità. Innanzitutto per la modalità iniziale: l’esperienza dell’entrata nel seno del Padre accade grazie alla reciprocità dell’amore. L’unità esplicita e dichiarata con il fratello è premessa all’accesso al mistero di Dio; e grazie al sacramento dell’Eucaristia, vissuto nella sua dimensione ecclesiale-comunitaria (cf. 1 Cor 10, 17).
Lo è soprattutto per il soggetto che compie l’esperienza mistica. Nel Paradiso non entra Chiara come singola “anima”, ma un “drappello” di “anime” fuse in uno, costituite prima da Chiara e Igino Giordani fatti un solo Cristo, poi dalle altre persone a cui Chiara, a mano a mano, comunica l’esperienza rendendole partecipi di essa.
Significative le prime parole che Chiara rivolge a Igino Giordani, subito dopo l’entrata nel seno del Padre, per metterlo al corrente di quanto il patto ha operato tra loro: “Sai dove siamo?”. A lui, che non sa “dove siamo”, Chiara svela non soltanto quello che ella è nella realtà mistica, ma anche quello che lui è e quello che egli sta vivendo con lei.
Non gli dice: “Sai dove sono?” perché consapevole che non da sola è entrata nel seno del Padre, ma nell’unità con lui, fatta un solo Cristo con lui. Lei non dice la propria personale esperienza, ma l’esperienza che insieme stanno facendo. Lei ne è consapevole, lui no, ma questa differenza è sul piano fenomenologico. Lei che ne è consapevole rivela a lui quello che sta avvenendo sul piano ontologico.
Ugualmente comunica tutto alle sue compagne; un comunicare che non è soltanto svelare la propria esperienza, ma introdurre nella propria esperienza, coinvolgere in essa e rendere partecipi di essa. Chiara stessa recentemente ricordava: “Descrivevo così perfettamente ogni cosa alle focolarine che anche esse ‘vedevano’ nella stessa maniera”. Vedevano nel senso che vivevano, partecipavano di quelle realtà, erano trasformate in esse: “Questi misteri avvenivano in me, Chiara, ma, non appena comunicati al resto dell’Anima, li avvertivamo comuni…”.
Quello che ella “sente” lo comunica e lo rende presente in tutta l’Anima. E quello che dona comunicando si “moltiplica” nei fratelli proprio perché donato: “Quando tutto Dio sentiamo in noi… moltiplichiamoci nei fratelli, donandoci tutti: donando di noi tutto: anche Dio in noi”.
Il patto introduce in quel particolare tipo di esperienza – l’entrata nel seno del Padre e poi, come vedremo, “viaggiare il Paradiso” – perché l’unità consente una presenza nuova di Gesù, quella di lui “in mezzo a due o più riuniti nel suo nome” (cf. Mt 18, 20), che dona lo Spirito e, in sé Figlio, li rende insieme “figlio” – non “figli” – del Padre, l’unico figlio, e la introduce nella vita trinitaria, facendo vivere di essa.
Come per altri mistici la penetrazione del mistero è relativa all’amore, nell’esperienza di Chiara essa è relativa alla vita d’unità, amore consumato. Altrove scrive, ad esempio: “Chi vive l’unità vede il Vangelo con l’occhio di Dio e vi penetra in profondità più o meno a seconda dell’esperienza, cioè della santità raccolta nella sua vita di unità…”[11].
L’esperienza spirituale non riguarda allora soltanto il singolo membro della comunità, ma la comunità intera, di cui quel membro fa parte, diventando autentica mistica ecclesiale. Nella spiritualità dell’unità il soggetto dell’esperienza è il gruppo reso uno, nel quale ogni singola persona diventa soggetto di esperienza in quanto divenuto “una sola persona” in Cristo.
Per approfondire: Verso un’estate di luce