Chiara, la claritas e la neve
A margine di un incontro di coloro che, nei Focolari, si occupano del dialogo con la cultura contemporanea.
A due anni dalla scomparsa terrena di Chiara, ci sembra di poter dire che questo termine claritas (che nella letteratura spirituale significa in genere “sapienza illuminata”) riassuma il tema ultimo della sua attività di fondatrice: sono infatti espressioni di claritas, tra l’altro, il “cenacolo” della Scuola Abbà, per lo studio del suo carisma; la creazione dell’Istituto Universitario Sophia; la fondazione di un centro “per il dialogo con la cultura contemporanea”. Sono, guarda caso, le ultime realtà da lei fondate.
Abbiamo fatto questa riflessione incontrandoci un mese fa appunto con gli incaricati di questo dialogo, provenienti da quasi tutta l’Europa, dagli Usa e dal Brasile. Tutti professionisti: dell’economia, dell’arte, della medicina, del diritto, della politica, della sociologia, dell’ecologia, della psicologia, dell’architettura, della pedagogia, della comunicazione, dello sport… Testimoniavano i frutti di questa claritas nell’agire e nel pensare umano, aprivano prospettive nuove, sinergie inaspettate… Un panorama molto diverso da quello che ognuno di noi aveva lasciato a casa.
Ci trovavamo in un centro congressi dei Castelli Romani, dotato di un bel parco che però quella mattina quasi non si riconosceva, coperto com’era da una fitta nevicata, una specie di miracolo per i dintorni di Roma. Tale panorama insolito e toccante riproduceva assai bene l’esperienza che stavamo vivendo: la cultura dell’unità vissuta insieme, diremmo “a corpo”, è in grado di cambiare la società, di rinnovarla.
Certo, occorre una cultura vera, quella che nasce da una vita e che distilla nel dialogo, nello studio e nella ricerca comune (e con la presenza del “Logos” in mezzo a coloro che sono uniti nel suo nome). È risultata un’esperienza così intensa che sembrava già tutto avviato nella concretezza. Solo l’indomani, al momento di partire, ci siamo accorti che il sole stava sciogliendo la neve (ma siamo ancora in quella che i teologi chiamano la categoria del “già e non ancora”).