Chiangmai, una diocesi di periferia

In dialogo con mons. Vira Arpondratana, vescovo di questo territorio della Thailandia molto noto per le ragazze "dal collo lungo", ma anche pieno di problemi e difficoltà
Chiangmai: una diocesi della periferia

Chiangmai (o Chiang Mai), popolosa città del nord della Thailandia, è conosciuta per i meravigliosi templi buddhisti, le gite sulle montagne del nord e le ragazze Karen, note per il loro "collo lungo", a causa degli anelli che vengono aggiunti di volta in volta al loro collo: una vera attrazione mondiale. Ma Chiangmai non è solo questo; ci sono molti problemi sociali, c’è droga, povertà sfruttamento d’ogni genere e molta prostituzione. E qui la chiesa cattolica opera con molte iniziative a favore dei più poveri, come i bambini abbandonati, ragazzi senza un futuro, famiglie sfruttate: non si sta con le mani in mano a guardare cosa succede fuori dal recinto della chiesa, questo no!

Sicuramente quella di Chiangmai è una delle diocesi "di periferia" di cui parla papa Francesco. È una diocesi dove letteralmente "ti sporchi" le mani, i piedi, la testa… e l’odore delle pecore ti resta addosso per lungo tempo, perché non va via facilmente. Già ho pubblicato con Citta Nuova alcune foto di un centro che aiuta bambini orfani o comunque che provengono da famiglie svantaggiate, proprio di Chiangmai. Sono magari piccole risposte che sembrano gocce in un oceano di problemi: ma sono autentiche gocce di speranza.

Nella sua residenza mi accoglie semplicemente mons. Vira Arpondratana, vescovo di Chiangmai. Si preoccupa che io abbia qualcosa da bere e che stia comodo: mi colpisce questo suo modo umile, sereno e gioioso di far sentire l’altro “a casa”. La diocesi, che celebrerà nel 2015 i 50 anni dalla sua istituzione ufficiale, vide il sorgere della sua prima chiesa nel 1931. Paolo VI la istituì diocesi nel 1965. Nonostante i suoi appena 50 anni è decisamente piena di vita, per quanto riguarda l’evangelizzazione: attualmente i fedeli sono più di 63mila, divisi in 8 province  con una popolazione complessiva che tocca quasi 6 milioni di abitanti sparsi sul territorio, in genere montuoso, di circa 90 kmq: per intenderci, due volte la Svizzera. Per raggiungere alcune stazioni sulle montagne, sono necessari anche due giorni interi di viaggio su auto con quattro ruote motrici. E la diocesi non ha molti soldi per comprarne di nuove! In tutto, le stazioni sono circa 450, su un totale di 850 villaggi con 45 chiese. I sacerdoti e i religiosi che lavorano nella diocesi sono circa 150 (compresi alcuni missionari stranieri) più un centinaio di religiose. Ma la cosa più interessante è che la popolazione è costituita per il 90 per cento da gruppi etnici: sono in pratica veri e propri popoli senza territorio, che vivono tra la Thailandia, Laos, Myanmar, Cina e Vietnam. Sono i popoli Karen, Akha, Mong, Lahu.

Tutte queste etnie sono oggetto di sfruttamento, anche perché molti dei loro componenti non hanno documenti validi. E quando non hai documenti non sei nessuno, qui. La diocesi fornisce degli aiuti anche per questo, come una coppia di avvocati: marito e moglie. Sono i componenti di queste etnie ad essere i più sensibili al messaggio cristiano: gente forte, abituata ad una vita dura ed anche a soffrire per la fede che ha o vorrebbe avere. Quello che colpisce di più è il messaggio dell’amore gratuito: sapere che c'è un Dio che ci salva gratis è sconvolgente per chi deve "contare" anche i chicchi di riso per ogni pasto! Non è strano per il vescovo dover camminare nel fango, sotto la pioggia, o con auto vecchie e certamente non sicure; mangiare cibi "insoliti", dormire in letti di fortuna, insomma, tornare all’arcivescovado col fango attaccato alla tonaca o fin sopra i capelli. È questo che colpisce la gente e che ha colpito anche me.

Alla domanda che pongo a mons. Vira, di quante siano le persone interessate alla fede cristiana, la risposta è sorprendente: «Attualmente il numero si aggira intorno alle 20 mila persone, con cui speriamo, nei prossimi cinque anni, di concludere un iter formativo che permetta l’inserimento completo nella comunità cristiana. Ma ogni giorno abbiamo persone che, conosciuto il messaggio cristiano soprattutto attraverso la testimonianza dei catechisti, di cristiani semplici su per le montagne, decidono di volerne sapere di più. Il miglior mezzo di evangelizzazione è la vita che trasmette amore!». Chiedo ancora come mai una cifra così alta, di cui non si sa molto, e che è molto inusuale per la Thailandia?

«La fede non va d’accordo con la pubblicità, e poi non vogliamo creare allarmismi in alcuni gruppi in "competizione" con la fede cristiana che stanno investendo molto nel nord della Thailandia, tra le popolazioni delle montagne. Sicuramente c’è un forte e sincero interesse in queste popolazioni che cerchiamo di seguire». Partecipando ad alcune celebrazioni, infatti, si nota subito il numero dei giovani che provengono dalle montagne tra i fedeli: hanno vestiti colorati molto belli, facce serene e soprattutto ci sono tantissimi giovani. Ed è proprio nei giovani che si fonda la speranza della Chiesa in Thailandia. E possiamo dire che le migliori "forze" sono proprio investite in questo progetto d’aiuto e di sostegno alle popolazioni in situazioni difficili.

A Chiangmai tutto parla di sfide: le montagne ed i 6 mesi di pioggia intensa, incessante e devastante, in molti casi. È anche pericoloso avventurarsi su per le mulattiere durante i monsoni. Ma la vita, l’amore, è anche questo: sapere dire di sì al rischio che va di pari passo con la vita e ne è la radice; ed i frutti ci sono e sono abbondanti. L’apporto dei movimenti è altrettanto importante ed apprezzato anche in questa diocesi, e sa donare un volto "laico" alla Chiesa. Mons. Vira stesso ha conosciuto la spiritualità del Movimento dei Focolari quando era ancora seminarista: poi i contatti anche frequenti lo hanno aiutato ad apprezzare sempre di più la spiritualità dell’unità.

«Devo dire – afferma – che la prima volta che sono entrato in un tempio buddhista vestito da vescovo è stato in occasione di un incontro del Movimento qui a Chiangmai: è tipica questa apertura verso le altre religioni, un’apertura che è accoglienza dell’altro così com’è. Per me è stata un’esperienza di testimonianza molto forte». Continua poi: «L’esempio d’amore scambievole che sperimento con gli altri vescovi qui in Thailandia che accolgono questo spirito di dialogo è importante. Solo come esempio voglio citare quanto accaduto la sera della partenza per la Giornata mondiale della gioventù di Rio: arrivavo col volo da Chiangmai ed era in ritardo: non ce l’avrei mai fatta se non fossero stati due vescovi amici, venuti a prendermi all'uscita dall'aereo per poi correre insieme verso l’altro volo per il Brasile: infatti stava per partire! Una volta entrati, hanno chiuso la porta dell’aereo e siamo partiti immediatamente per Rio. Hanno rischiato di perdere l’aereo con me, ma non mi hanno abbandonato! Questo mi ha profondamente impressionato». Continuiamo la nostra chiacchierata: «Le sfide sono davvero tante e papa Francesco ci spinge in avanti; in queste zone la vita umana, come si dice, "costa poco". Se vieni dalle montagne e non hai i documenti, non sei nessuno e chiunque può approfittare di te o della tua famiglia. Per noi, il compito più grande rimane uno: portare a queste popolazioni aiuto concreto e spirituale e far scoprire una Chiesa che non sia un organizzazione umanitaria, ma una famiglia di figli con un Padre, dove ci si vuol bene, ci si aiuta: dove chi ha di più aiuta di più e dove siamo tutti fratelli e sorelle. Per me è importante aiutare anche i sacerdoti a vivere questo».

È una gioia profonda conoscere queste periferie ed un po’ le sue storie: una gioia capire che la vita, che il mondo nuovo va avanti, in mezzo a molte difficoltà. Ma va avanti. E vincerà la fraternità: anche tra le montagne di Chiangmai.

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