Chiang Mai, un popolo colorato di dialogo
Chiang Mai ha un clima decisamente migliore di quello di Bangkok: le montagne che la circondano le danno ossigeno e favoriscono un’atmosfera serena e tranquilla. Sicuramente è un clima adatto alla meditazione ed alla contemplazione buddhista, molto più di quello della capitale thailandese.
Qui, a Chiang Mai, i centri per l’insegnamento della meditazione di visione profonda, vipassana, sono numerosi. E tanti thai e stranieri, provenienti da tutto il mondo, spesso li affollano per praticare la vipassana. Durante il fine settimana di fine aprile e del primo maggio, giovani e adulti, professori e operai, gente comune e intellettuali che hanno conosciuto, negli anni, la spiritualità del movimento dei focolari si sono dati appuntamento qui.
Da anni avevano il desiderio ritrovarsi e ritirarsi dal mondo per passare qualche giorno insieme per andare avanti con l’Ideale dell’unità, ma stavolta, meditato e vissuto da buddhisti. Persone che hanno conosciuto l’Ideale dell’unità in Thailandia e che l’hanno poi approfondito nella cittadella internazionale di a Loppiano (di cui tutti ricordano l’atmosfera fraterna), oppure a Rocca di Papa. In Italia. Quest’anno si commemorano anche i 25 anni dalla visita di Chiara Lubich in Thailandia, avvenuta nel 1997.
Il famoso Gran Maestro della meditazione vipassana, Ajarn Thong Srimangalo, invitò Chiara a Wat Rampoeng, un centro per la meditazione tra i più famosi di Chiang Mai, affinchè Chiara Lubich donasse a tutti la luce per uscire dall’oscurità. Disse Phra Ajahrn Thong: «Se sei in una caverna al buio, e arriva qualcuno con una luce, non chiedi se è un bambino o un adulto, un uomo o una donna, ma sei riconoscente per la luce che ti dona e lo segui. Oggi invitiamo Chiara a donarci la sua luce».
A 25 anni da quell’evento, quel desiderio di Phra Ajarn Thong si è rinnovato in questi giorni, quando 8 monaci, una monaca, una ventina di laici buddhisti e quindici cristiani, si sono ritrovati per meditare sull’esperienza di luce mistica di Chiara e sulla sua arte di amare fondata sulle sacre scritture cristiane: amare tutti, amare per primi, amare l’altro come sè, amarci scambievolmente… E quanto questo ideale sia ormai divenuto vita, si sia calato ed incarnato nell’amicizia con monaci e laici buddhisti.
Un’amicizia che è andata avanti negli anni, dobbiamo dire, e soprattutto ha messo radici solide in Thailandia. Una bella sala al tempio Wat Rampoeng, molto elegante, è stata messa a disposizione dall’abate del tempio, discepolo di Ajarn Thong, il reverendo Phra Ajarn Suphan: una personalità ben conosciuta in Thailandia e all’estero.
Sono seguiti due giorni ricchi di dialogo della vita alla luce dell’esperienza focolarina e buddhista: scambi sinceri di tesori spirituali, di esperienze personali, di dolori, sofferenze e tanta luce e coraggio per andare avanti nella vita: questo era il programma, in definitiva.
L’aspetto forse tra i più interessanti era che il tutto era legato da un profondo rispetto reciproco, sincera compassione reciproca, come si dice da queste parti, e tanta voglia di portare a tante persone la luce del dialogo interreligioso focolarino: il cosiddetto “dialogo della vita”, come amava definirlo Chiara Lubich.
Il secondo giorno dell’appuntamento hanno partecipato, per dare inizio all’evento internazionale della settimana per il mondo unito, anche tante famiglie e giovani di varie etnie amici dei focolari: lahu, tai yay, kachin. Insomma, un popolo colorato di dialogo. Direi un popolo che testimonia l’unità nella diversità religiosa e multi etnica, che ha lasciato tutto quanto ed ha speso tempo per capirsi, comprendersi e volersi bene. Una realtà vera, magari faticosa, ma possibile, concreta. Ed è questo che i focolari di Chiang Mai donano alla Chiesa cattolica e all’umanità: una immagine nitida, colorata e aperta del mondo unito. Un mondo possibile se tutti noi “doniamo, doniamo,doniamo”, come hanno affermato i partecipanti più di una volta. Un sacerdote dalla diocesi di Chiang Mai, presente all’incontro e impegnato nel dialogo interreligioso, ha definito questi giorni un incontro storico. Alla fine, i presenti si sono lasciati dandosi appuntamento a Chiang Rai tra sei mesi.
Oggi, mentre scendevo dalle colline di Chiang Mai verso Bangkok, dove mi aspetta il mondo di sempre, avvertivo presenti nel cuore la pace e la dolcezza di quei volti, i gesti di quei due giorni che definirei benedetti. Mi hanno colpito le parole dell’abate Phra Ajarn Suphan che, prima di congedarci, mi ha detto in italiano: “Ciao amico”. Ecco di cosa abbiamo bisogno oggi, in questo mondo impazzito per la guerra, che esalta l’uso delle armi e della violenza pensando che possano risolvere i conflitti geopolitici: risentirci amici, sperimentare che siamo tutti fratelli di un’unico Padre e che la pace, la benevolenza, il silenzio, la compassione e la vittoria dell’amore sull’odio sono la vera soluzione ai nostri problemi. La pace, oggi, passa indubbiamente dalla bellezza di un popolo multicolore e ricco di diversità, ma capace di amare tutti.
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