Chiamenti (Fimp): un errore ridurre i vaccini obbligatori

Sono stati ridotti a 10 (e non più 12), secondo quanto previsto finora nell’iter per la conversione in legge del cosiddetto “decreto vaccini”, ma i medici non sono d’accordo. Intervista al presidente della Federazione italiana pediatri (Fimp). Approfondimento sui vaccini sul numero di agosto della rivista Città Nuova
La vaccinazione di una bambina

Ci sono ancora due settimane di tempo per convertire in legge il cosiddetto “decreto vaccini”, che aveva previsto l’obbligatorietà per 12 sieri, rendendo la vaccinazione necessaria per accedere alle scuole. Nell’esame in Commissione il numero si è ridotto a 10: eliminati quelli contro la meningite B e C, all’esavalente (anti-poliomelitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, anti-pertosse e anti haemophilus influenzae tipo B) e al trivalente (anti-morbillo, anti-parotite e anti-rosolia); è stata aggiunta la varicella, mentre restano raccomandati gli altri (anti rotavirus, anti pneumococco e gli antimeningococchi). Delle nuove norme si è discusso in Senato. Ora il testo passerà alla Camera. Nel frattempo, divampano le polemiche. Molte associazioni di genitori stanno protestando a Roma e in altre città italiane chiedendo libertà di vaccinazione. Per i pediatri, invece, la riduzione da 12 a 10 è sbagliata. Ne parliamo con Giampietro Chiamenti, presidente della Federazione italiana medici pediatri (Fimp).

Presidente, il decreto legge prevedeva 12 vaccini obbligatori. Lei era d’accordo?
Penso che fossero addirittura al di sotto di quello che è il fabbisogno di cui avrebbe necessità la popolazione pediatrica, perché sono rimasti fuori l’antipneumococcica, che è un vaccino importante per i bambini e per le persone anziane, e l’anti rotavirus, che nei primi mesi di vita è fondamentale per evitare le miriade di ricoveri per la gastroenterite da rotavirus che dobbiamo fare. Senza parlare poi del vaccino contro l’Hpv (anti papilloma virus), contro il cancro, talmente importante da fare storia a sé. Invece per l’infanzia quelli introdotti, e quelli non introdotti che – sottolineo – restano fortemente raccomandati e non perdono la loro importanza, sono vaccini di cui il bambino ha bisogno.

Gianpietro Chiamenti (foto Carlo Perazzolo - Ansa)
Gianpietro Chiamenti (foto Carlo Perazzolo – Ansa)

Possiamo discutere sul fatto che fosse necessario l’obbligo, se si poteva arrivare in qualche modo allo stesso risultato attraverso una forte raccomandazione; però i dati del calo dei tassi copertura e la disaffezione in una fascia della popolazione, che più che contraria definirei esitante, hanno indotto – per evitare il rischio di epidemie importanti – il ministro e le autorità a introdurre l’obbligatorietà. Io penso che lo abbiano fatto con l’intento di dire: affrontiamo intanto questa fase delicata, e poi tra 2, 3 anni rivediamo il tutto. Però adesso, anche in base alle segnalazioni dell’Oms, era talmente evidente che se non si poneva un freno a questa tendenza bisognava ricorrere a maniere coercitive, e questo è stato.

Quindi c’è innanzitutto un problema di comunicazione, e tutte le indicazioni diverse che si sono susseguite non hanno aiutato le persone: prima i Lea (livelli essenziali di assistenza), poi il decreto, tra qualche settimana la nuova legge…
C’è stata un po’ di confusione, perché la decisione si è sovrapposta ad un cambiamento in atto nel Paese: che attraverso i Lea costringeva di fatto non la popolazione, ma le Regioni, ad applicare l’offerta di un calendario uguale per tutto il Paese e comprendeva ben più di 12 vaccini. Con il decreto vaccini l’obbligo viene trasferito sulla popolazione, e questo ha indotto una certa confusione.

Gli emendamenti in esame in Parlamento potrebbero cambiare il decreto in fase di conversione in legge…
Io spero caldamente che restino i 12 vaccini obbligatori previsti, perché si darebbe un segnale negativo facendo un decreto che ne prevede 12 e poi dicendo che ne bastano 10. Immagino che – se ne hanno proposti 12 – lo abbiano fatto perché erano vaccini importanti… Poi è chiaro che nell’interregno tra decreto e conversione in legge viaggiano le opinioni più disparate fino a quando il Parlamento non legifererà.

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