Chiamami Ayrton
«C’è una certa dose di pericolo nelle corse e la Formula Uno ne fa parte. Ci sono rischi calcolati e situazioni inattese e puoi andartene in una frazione di secondo, così improvvisamente capisci di essere nessuno e la tua vita finisce in un attimo». Commentava così il sottile confine tra la vita e la morte Ayrton Senna da Silva, pilota brasiliano di Formula Uno, tre volte campione del mondo, «il più grande pilota di tutti i tempi» secondo Niki Lauda, pure lui tre volte iridato nella massima serie dell’automobilismo mondiale.
Domenica, 1 maggio 1994. Ad Imola si corre il Gran Premio di San Marino. Solo poche ore prima il pilota della Simtek, Roland Raztenberger ha perso la vita durante la sessione di prove. Al via della corsa a seguito di un tamponamento tra due vetture, nove spettatori vengono colpiti in tribuna da una gomma e alcuni rottami volati oltre le recinzioni a bordo pista. La gara riprende. Alle 14:17 Ayrton Senna conduce in testa il settimo giro, la sua Williams imposta la curva del Tamburello sul filo dei 300km/h, ma non riesce a sterzare finendo contro il muro di protezione. Senna se ne va in quella frazione di secondo. Tutto il mondo dello sport e non solo per un attimo si ferma mentre di lì a poco la gara riprende. Vince un giovane Michael Schumacher. Prima di cena Maria Teresa Fiandri, primario di rianimazione presso l’Ospedale Maggiore di Bologna dà l’annuncio: «Il cuore di Senna ha smesso di battere alle ore 18 e 40». È un buco nero di dolore.
Sono passati diciannove anni, una generazione, e di quella generazione Senna ne è il mito. Personaggio planetario, ammirato dagli uomini, inseguito dalle donne, con il suo indimenticabile casco verde-oro, Ayrton è stato, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, l’ultimo grande pilota dell’era meccanica della Formula 1. Nato da una famiglia agiata di San Paolo, proprietaria di 400 mila ettari di terra e 10 mila capi di bestiame, Senna aveva tutto eppure in pista non si accontentava mai. Diceva: «Quando mi mancherà un centesimo di secondo rispetto al giorno prima pianterò tutto». I duelli, gli incidenti e gli scontri in pista con il francese Alain Prost accendevano l’entusiasmo della gente, ma anche velenose polemiche ben cavalcate a fin di audience.
Senna e Prost più nemici che amici, eppure Ayrton non esitava a mandare un saluto all’amico-rivale ritiratosi dalle competizioni appena il microfono glielo consentiva, così allo stesso modo Alain non ha esitato quando gli è stato chiesto di presiedere la Ayrton Senna Foundation, ad oggi il più importante ente privato del mondo per assistenza all’infanzia. Già, perché la vita è troppo corta per avere dei nemici.
Senna non era solo un bravo pilota, ma anche il simbolo di un Brasile segnato da anni di dittatura e da una sempre più crescente faglia economica che contribuiva a dividere la popolazione. Senna univa perché con lui vinceva tutto il Brasile e del Brasile Ayrton conosceva bene le piaghe. «I ricchi non possono vivere su un'isola circondata da un oceano di povertà. Noi respiriamo tutti la stessa aria. Bisogna dare a tutti una possibilità».
A San Paolo nel giorno del suo funerale c’erano due milioni e mezzo di persone a rendergli omaggio. Un lutto in famiglia per i brasiliani. Senna diciannove anni dopo ancora così amato e popolare comunica ancora “bucando lo schermo”: lancia messaggi, sferza un popolo, infiamma i cuori. Sui social network spopolano le sue frasi: un invito alla tenacia, a non mollare mai, a combattere l’ingiustizia. «Non esiste curva dove non si possa sorpassare».