Chi trattò per salvare Moro?

La tesi del giornalista e scrittore Alessandro Forlani, che nel suo libro La zona franca si interroga sul perché sia fallita la trattativa segreta che era stata portata avanti per salvare il presidente della Dc
Aldo Moro

Il 9 maggio 1978 il corpo di Aldo Moro veniva ritrovato nel portabagagli di una Renault 4 rossa in via Caetani, a Roma, a metà strada tra piazza del Gesù, sede della Dc, e Botteghe oscure, dove aveva sede il Pci. Rapito 55 giorni prima dalle Brigate rosse, il presidente della Democrazia cristiana era stato ucciso. Trentacinque anni dopo i misteri sul rapimento e sull'omicidio non sono ancora stati svelati. Tanto più che proprio il 9 maggio, secondo quanto scrive Alessandro Forlani nel suo ultimo libro (La zona franca – Come è fallita la trattativa segreta che doveva salvare Aldo Moro, ed. Castelvecchi), lo statista avrebbe dovuto essere liberato. In molti stavano lavorando per salvarlo. Ma, evidentemente, qualcun altro tramava nell'ombra affinché tali accordi non andassero in porto.

Dopo aver parlato a lungo con numerose personalità del mondo politico e religioso, Forlani prospetta una triplice trattativa che avrebbe visto in campo il Vaticano, che sarebbe stato disponibile a versare un corposo riscatto pur di salvare Moro; il dittatore jugoslavo Tito, che avrebbe liberato alcuni militanti delle Br tedesche dando all'organizzazione un riconoscimento internazionale; ed infine il presidente della Repubblica Leone, che sarebbe stato pronto a firmare la grazia per un estremista di sinistra. Il presidente del Senato Fanfani, infine, avrebbe legittimato, parlando al suo partito, la necessità di una trattativa umanitaria. Nonostante tutto, qualcosa andò storto. Per colpa di chi? Per quale motivo? L'autore non dà risposte, ma pone altre domande. Lo raggiungiamo al telefono mentre è in treno, in viaggio verso Trento, dove presenterà il suo libro. La prossima presentazione in programma è per fine mese-inizi di giugno a Roma.

Forlani, a chi rivolge le sue domande?
«Premetto che questo è un libro di testimonianze e non di documenti. Io ho dato voce ad alcuni testimoni che considero credibili perché le cose che dicono sono verosimili, ma è solo la loro parola. Diverse persone parlano dell'esistenza di queste trattative e del fatto che fossero praticamente concluse. Perché non siano state accettate resta un grande mistero. Ecco perché io rivolgo le mie domande ai terroristi che hanno operato l'omicidio, ai politici che avevano portato avanti la trattativa, agli agenti segreti che hanno concordato i patti, e a tutti i mediatori coinvolti. Una cosa del genere presuppone il coinvolgimento di figure intermediarie e io dico che ci sono grosso modo una trentina di persone coinvolte».

Tra queste, credo che ci fosse sicuramente Andreotti, scomparso qualche giorno fa. Crede che dopo la sua morte qualcosa in più emergerà sul caso Moro?
«Credo di no. Andreotti aveva un archivio, che in questi giorni è stato anche mostrato in televisione con i lucchetti, ma alcune persone lo hanno visto e hanno detto di non aver trovato niente di particolarmente segreto. Io credo che le persone coinvolte nelle trattative, quando queste sono andate male, abbiano voluto cancellarne tutte le tracce. Se fossero andate a buon fine, forse successivamente ci sarebbe stato un processo, un'indagine, non so dirlo. È comprensibile però che le persone e le istituzioni coinvolte abbiano voluto negare tutto. Anche le Br, che avevano sempre detto che non erano disposte a contrattare…».

Di trattative si è sempre parlato, ma come anche lei dice, si è sempre preferito negare. Perché, secondo lei, lo Stato non può "trattare"?
«Lo Stato ha il dovere di far rispettare la legge, quindi non può trattare con un gruppo criminale, terroristico. Però la legge consente anche che lo Stato, esercitando i propri poteri, arrivi alla fine a queste trattative. Nel caso di Moro si trattava soltanto di graziare qualcuno: una prerogativa normale del presidente della Repubblica. Per quanto riguarda Vaticano e Jugoslavia, come Stati indipendenti potevano fare quello che ritenevano più giusto. La politica ha il dovere di operare delle mediazioni. Lo diceva anche Moro, che fece un accordo politico segreto con i palestinesi, che all'epoca erano visti dalle Nazioni unite come un gruppo terroristico. Io credo che il problema, in un accordo, è quello che si offre in cambio: in questo caso non c'era un accordo sotto banco che avrebbe avvantaggiato i terroristi, ma solo l'esercizio del potere di grazia da parte del capo dello Stato».

Crede che la verità sul caso Moro emergerà, prima o poi?
«Credo che non si sapranno mai come le cose si sono veramente svolte: sono riservate e farebbero capire che la politica non è cosa semplice e prevede anche accordi tra nemici, come lo erano Usa e Urss, anche se noi siamo abituati a pensare alla guerra fredda come un "muro contro muro". Sono vicende complesse, come quelle che vediamo in atto oggi in Pakistan e in altri Paesi di frontiera in cui si mischiano elementi come l'estremismo religioso e il traffico di droga. È la complessità della realtà: lo ha detto anche papa Francesco all'incontro con i giornalisti. Ci ha detto di studiare la complessità: due parole che già dicono tutto e che purtroppo tanti non riescono a coniugare».

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