Chi sono i nuovi barbari?
Presentato a Venezia e primo film colombiano candidato agli Oscar Aspettando i Barbari (Waiting the barbarian) di Ciro Guerra è un film potente, sintetico, chiaro. Il Magistrato dell’Impero – quale? Si suppone quello britannico – vive nella cittadella ai confini con un popolo di nomadi con cui ha un rapporto sereno e autentico. Ma i nomadi, gente pacifica, sono considerati dalla potenza imperiale “barbari”. Un ambizioso colonnello – Johnny Depp, vera maschera della perfidia – vuole ad ogni costo scatenare una guerra contro di loro, interviene, li arresta, li tortura pur di affermare che essi stanno tramando una ribellione. Il Magistrato – un intenso Mark Rylande – si oppone inutilmente, anche perché il colonnello sarà aiutato da un cinico maggiore – Robert Pattinson nei panni nuovi del “cattivo” – nella sua impresa distruttiva di una comunità armonica.
Il risultato? La volontà imperialista e l’insensibilità verso qualunque forma di dialogo fanno sì che il Magistrato venga esautorato, umiliato pubblicamente come in una “passione” ed emarginato. La scena però cambierà perché il colonnello e i suoi amici verranno sconfitti dai “barbari” che un giorno appariranno all’orizzonte davanti alla cittadella dove il Magistrato è ritornato. Cosa succederà?
Il celebre film Il deserto dei Tartari (1976) di Zurlini torna alla mente evocando in questo la stessa attesa silenziosa del futuro, le medesime atmosfere ansiose in un lavoro diviso per stagioni in una natura bellissima fotografata con rara poesia. Racconto teso, drammatico e anche doloroso, mai retorico o eccessivo, il film colombiano è deciso nell’affermare la necessità del dialogo fra culture diverse, il rispetto, certo riflettendo su storie antiche e recenti di mentalità razziste e imperialiste rinate un po’ ovunque.
Ottimamente recitato e sceneggiato, attraversato da malinconie, il film pone la domanda su chi siano oggi i veri “barbari”. Con un linguaggio asciutto, forse la riposta, pur sottesa, è chiara: siamo noi, i cosiddetti “civili” quando neghiamo l’accoglienza al “diverso”.