Chi ruba nei supermercati
In questi giorni mi torna in mente la canzone di Francesco De Gregori: Chi ruba nei supermercati. È del 1992, sembra scritta ora.
«Così vediamo dove siamo e dove stiamo andando,
così impariamo ad imparare e a sbagliare sbagliando.
Tu dove vai, fratello?
Sei partito che era tutto fermo e adesso già la terra sotto ai tuoi piedi si sta spostando.
Tu cosa credi, bello, che davvero sia una buona stella,
questa stella nera che ci sta accompagnando? […]
Tu da che parte stai?
Stai dalla parte di chi ruba nei supermercati?
O di chi li ha costruiti rubando?».
La provocazione spinta al paradosso di De Gregori non è così lontana, forse, da quanto ci è stato chiesto in questa campagna elettorale: siamo stati chiamati a scegliere senza possibilità di scelta, in realtà. Nomi e liste erano anche oltre l’abbondanza, ma qualche candidato si è preso la briga di spiegare agli elettori il proprio programma?
Alcuni quotidiani (per esempio «La Stampa») hanno pubblicato i programmi a confronto tra le varie coalizioni nell’edizione di domenica 24 febbraio. A voto, magari, già espresso.
Quante persone ho visto fuori dai seggi elettorali a consultare le liste, senza sapere che (escluse le regionali) non avremmo potuto scegliere il candidato, ma solo la coalizione. C’è stato qualche candidato che ha spiegato il funzionamento di questa legge elettorale? Chi di noi votanti ha deciso di approfondirla e, potendolo fare, l’ha compresa?
Responsabilità dei candidati, dei media, degli elettori.
Penso a chi ha votato per la prima volta, con le mani tremanti di rabbia o di confusione, forse, e a chi, magari, si è recato alle urne per l’ultima volta, perché affaticato dagli anni, con la vista sempre più debole e le gambe malferme. A chi è andato con la speranza di trovare un lavoro e a chi con la certezza di averlo perso.
Abbiamo ascoltato, letto, visto tanto. Troppo, forse. Avremmo voluto, magari, ascoltare, leggere, vedere meno e comprendere di più.
È il momento delle analisi “dei flussi dei voti”, come si legge, degli “avremmo potuto…” oppure “come è stato possibile…”, oppure, ancora: “ce l’abbiamo fatta!”.
Chi ha davvero vinto? Siamo sicuri che basti un numero di seggi per stabilirlo?
È il momento delle sentenze, degli appelli, dei pronostici e delle dichiarazioni. Inutile, forse, aggiungere altre parole.
In tanti non ci ritroviamo in questo risultato elettorale. In tanti vorremmo forse suggerire che non c’è solo l’opzione tra rubare nei supermercati e costruirli rubando. Ci sono innumerevoli altre possibilità. Sfumature in mezzo al bianco e al nero. E che fanno la differenza tra gridare, azzerare il passato, demonizzandolo, oppure imporlo e continuare a “fare” la stessa politica, dato che si è stati rieletti. Un po’ come pensare di mangiare pane fresco una volta tolto dal freezer, solo perché lo abbiamo congelato appena sfornato.
Che sapore ha questo nuovo assetto politico? Amaro, per molti, dolce o piccante per altri.
E se fosse l’opportunità? Non una, generica e vaga, ma quella che potrebbe significare accogliere la sfida più profonda della politica come compromesso per il bene comune, letteralmente: «unito ad altri dall’obbligo (munus) in ciascuno di qualche prestazione e col diritto di ricevere qualche beneficio: d’onde il senso di ciò a cui partecipano più persone, tutti i cittadini. Appartenente a tutti».
Politica come dialogo al di là delle parti e del numero dei seggi.
Chissà.