Chi parla mai di trasparenza?
Impazzano di continuo scandali e teoremi giudiziari. Ma anche tante vere corruzioni, tante perversioni, tante cupidigie. Ognuno propone la sua soluzione. Ma quella vera è solo una
Non c’è stato tempo di archiviare il caso della Protezione civile – e probabilmente non lo si potrà fare per un certo tempo, fino all’accertamento delle responsabilità reali – che scoppia lo scandalo della maxitruffa che sarebbe stata ordita da società legate a Fastweb e Telecom Italia. In combutta, così sembra, con mafie di varia origine e non senza pericolose collusioni politiche. Un affare di centinaia di miliardi truffati allo Stato. Il procuratore generale antimafia Grasso ha dichiarato al Tg1 stamani: «C’è un po’ di tutto, in questa indagine». Appunto, un po’ di tutto: economia, politica, delinquenza, amministrazioni pubbliche e private… Si salvi chi può.
Naturalmente è importante che noi giornalisti, ma anche i politici, assieme al congiuntivo ormai desueto, non spediamo nel limbo dell’oblio anche un altro modo della nostra grammatica verbale, il condizionale. Finire sui giornali con accuse infamanti è ormai cosa normale, anche se poi le indagini talvolta discolpano i colpevoli: la “gogna mediatica” è una gran brutta cosa. Ma il problema è indiscutibilmente grave e diffuso. Il sen. Pisanu afferma che siamo in una nuova emergenza nazionale come lo fu Tangentopoli; altri sminuiscono con atteggiamento un po’ sufficiente; altri ancora ingigantiscono il problema scandalizzati.
E cosa dice la gente? Stamani in metropolitana i miei vicini commentavano con calma olimpica le nuove notizie di corruzione (più lo scandalo appare virulento, più la gente sembra assuefarsi a tali notizie): «Che tutti rubassero lo sapevamo. Perché noi non dovremmo farlo?», diceva una signora imbellettata. E un anziano signore replicava: «Meno male che il papa ha detto che rubare non è umano!». Altri astanti commentavano: «Sì, il papa! Che vuoi che gliene importi a quella gente corrotta? È gente che odia la luce, che vive nell’ombra… Hanno vite fatte di ombre, infelici loro!».
Questo «vivono nell’ombra» mi ha fatto pensare che di questi tempi pochi di noi usano la parola “trasparenza”, e ancor meno la applicano alla loro vita pubblica e privata. Si preferisce vivere nell’ombra, al riparo dalla luce del giorno, perché c’è sempre qualcosa da nascondere. Eppure la soluzione agli intrighi, alle maldicenze, alle spiate, alle fiction giudiziarie, alle ripicche delle lobby, ai veti trasversali delle varie mafie… risiede proprio nella trasparenza, quella di cui si fregiavano i grandi padri della patria, quella che il Vangelo predica ad ogni pié sospinto. Gesù invita solo a pregare e digiunare nell’ombra, per non mettersi in mostra! E pronunciava sentenze “terribili”, come «la verità vi renderà liberi».
Mi sono ricordato allora di una bellissima frase usata da Sergio Quinzio, in Religione e futuro, un testo pubblicato nei primissimi anni Sessanta, ma che sembra scritto per un elzeviro di oggi, 24 febbraio 2010: «Siamo finti. A forza di fingere, la finzione è diventata la nostra vera natura e non nasconde più nulla. Non ha neanche più la tensione implicata nel camuffamento. Per questo, nel teatro sono scomparse le maschere e stanno scomparendo le scene».