Chi educa i nostri figli alla sessualità?
"Standard per l'educazione sessuale in Europa" è il titolo del recente documento dell'Ufficio regionale per l'Europa dell'Organizzazione mondiale della sanità, che intende fornire un quadro di riferimento sulla materia per i responsabili delle politiche educative, le autorità scolastiche e sanitarie e gli specialisti.
Il documento (qui un link all’edizione italiana, promossa e finanziata della Federazione italiana di sessuologia scientifica) è stato oggetto di critiche severe nel mondo dell'associazionismo civile di stampo cattolico – ma non solo – e negli ambienti dell'educazione e della difesa dell'infanzia. Occorre riconoscere, tuttavia, che la prima parte del testo individua in maniera puntuale e attenta i bisogni educativi, ben inquadrando i determinanti negativi di salute, ossia quei fattori culturali, tecnologici e ambientali che possono minacciare lo sviluppo psicofisico del bambino e la sua possibilità di acquisire e mantenere un equilibrio sessuale soddisfacente.
L'approccio che viene proposto per affrontare la crescita di questi elementi negativi e le loro importanti conseguenze va sotto il nome di "educazione sessuale olistica", nel quale molti hanno ritenuto di individuare princìpi vicini alla cosiddetta "ideologia del gender" di stampo anglosassone, che teorizza il diritto a realizzare individualmente e senza alcun condizionamento la propria identità sessuale.
Ciò significa fornire a bambini e ragazzi gli strumenti per gestire da soli le proprie scelte sessuali, attraverso la veicolazione di informazioni scientifiche corrette e indipendenti (“empowerment”, o abilitazione, del bambino), in modo che egli decida liberamente quali comportamenti adottare nella ricerca di una vita sessuale soddisfacente e sicura. In questo contesto, la "rivoluzione sessuale" del '68 viene descritta come elemento foriero di maggiore libertà e in grado di garantire nuove opportunità, giungendo addirittura ad affermare che l'adolescenza sia un fenomeno comparso in seguito ad essa.
Le proposte educative del documento partono dalla premessa che l’educazione “informale", quella fornita dal tessuto familiare e comunitario, non sia più adeguata alla società moderna, ma possa offrire al bambino soltanto un contesto di riferimento e alcuni elementi di orientamento generale. Viene quindi espressa la necessità di relegarla a un ruolo secondario, scindendola nettamente dall'educazione “formale” basata sugli standard proposti, unico strumento – si sostiene – in grado di fornire indicazioni utili allo sviluppo di un pensiero autonomo e "positivo" sulla sessualità.
In una serie di dettagliate tabelle viene definito che cosa i bambini dovrebbero conoscere, a ogni fascia d'età, per essere in grado di affrontare con un atteggiamento "positivo e responsabile" le nuove sfide poste dalla società moderna: tra queste, Internet e nuove tecnologie di diffusione di immagini e informazioni, multiculturalità, violenza sui minori, aumento delle gravidanze indesiderate, diffusione di patologie a trasmissione sessuale come l'Aids. Scorrendo le proposte educative, si evidenziano certamente degli elementi positivi, come ad esempio l’offerta di strumenti utili a riconoscere contesti di rischio, o la sollecitazione ad avere sempre con un adulto di fiducia con cui confidarsi; vi sono, però, anche aspetti molto discutibili, come la presenza di riferimenti espliciti alla masturbazione infantile precoce (0-4 anni).
Fra le competenze che il bambino dovrebbe acquisire è prevista la capacità di esprimere i «propri bisogni, desideri e limiti, ad esempio attraverso il gioco del dottore». Si parla, inoltre, della necessità di stimolare la tendenza del bambino a «esplorare la nudità» e di favorire la «gioia e piacere nel toccare il proprio corpo» già a 6-9 anni.
Molti esponenti dell'associazionismo civile, specialmente negli ambienti dell'educazione e della difesa dell'infanzia, hanno sollevato numerose critiche verso questo strumento, rilevando come i contenuti proposti siano ispirati a una concezione meccanicistica della sessualità e riducano l’esperienza affettiva a una questione meramente anatomica e biologica, limitata alle nozioni apprese e priva di ogni riferimento etico, morale o antropologico.
A fianco di tali riflessioni, in larga parte condivise da chi scrive, vorrei affiancare due osservazioni di carattere tecnico e culturale.
La prima osservazione è sull'approccio scelto per affrontare un problema metodologicamente riconducibile a uno scenario classico di sanità pubblica: una volta rilevati i determinanti negativi, legati alle trasformazioni in atto nella società, che minacciano la salute sessuale dei bambini, la proposta dell’Oms è esclusivamente basata sulla capacitazione dei soggetti da tutelare: l’efficacia pratica di tale strategia è tutta da dimostrare, considerata la particolare fragilità della categoria in esame e la fase precoce dello sviluppo intellettivo e culturale delle persone su cui si vorrebbe intervenire.
In nessun punto è descritto ciò che dovrebbe essere, nell’ottica di una sanità pubblica proattiva e attenta alla prevenzione, la priorità di un organismo come l’Oms che, in maniera analoga a quanto effettuato in moltissimi altri campi della prevenzione, ha il compito di individuare e promuovere quelle azioni sociosanitarie e politiche in grado affrontare il problema alla radice, agendo a tutti i livelli su quei determinanti culturali, sociali ed epidemiologici così ben individuati all’inizio del documento.
La seconda riflessione, di stampo meno tecnico e più personale, proviene dalla mia piccola, ma sentita esperienza di giovane padre e consiste in una domanda: ci sentiamo davvero così inadeguati a crescere e educare i nostri figli, tanto da acconsentire ad abdicare a questo ruolo in favore di un ente esterno alla famiglia, come è la società?
(L'autore è dirigente medico Direzione di Presidio ospedaliero presso Azienda Asl 1 di Massa e Carrara)