Io, chef per la mia terra
Il libro Io, chef per la mia terra, mostra, attraverso la storia di Filippo Cogliandro che si è ribellato alla ‘ndrangheta il volto della Calabria autentica, terra di eccellenze, di gente perbene che ha spirito imprenditoriale e sa dare un’anima al proprio lavoro nonostante il difficile contesto sociale.
Come nasce l’idea del libro?
Una sera a Reggio Calabria, durante una riunione tra amici che hanno a cuore il bene della loro città. In quell’occasione, uno degli invitati a raccontare la sua storia era lo chef Filippo Cogliandro. Non sapevo nulla di lui, era la prima volta che lo vedevo, ma ciò che raccontava e come lo raccontava (con passione, con ordine cronologico e con proprietà di linguaggio), mi ha fatto pensare: Basterebbe trascrivere quello che ha detto e l’articolo sarebbe bell’e fatto. Avevo infatti esperienza di ben altre interviste caotiche che mi avevano impegnato tantissimo. E poi un altro pensiero: Perché una semplice intervista? Qui c’è una storia intera che meriterebbe di far conoscere con un libro.
Che stile di racconto hai scelto?
Quello che è venuto fuori spontaneamente le due volte in cui sono andato a intervistarlo a Reggio Calabria: una narrazione giornalistica durante la quale mettermi discretamente da parte, anche se talvolta annoto qualche impressione personale. Una terza puntata, ma non con Filippo, mi è servita a prendere visione di alcuni luoghi citati. Perché a me piace ambientare le storie. E mi sono anche dovuto documentare un po’ sui problemi collegati all’illegalità locale.
Cosa ha da dire a tutti la storia dello chef Filippo Cogliandro?
Che chi ha avuto la fortuna di assimilare dei valori di onestà, di sacrificio, di lavoro come servizio – e lui li ha appresi in famiglia, lavorando col padre fin da giovanissimo – è ben attrezzato per la vita e può permettersi di andare controcorrente rispetto ad un certo andazzo, testimoniandoli quei valori.
Visto e conosciuto da vicino, perché Filippo Cogliandro genera, secondo te, tanta empatia ed energie positive?
La forte unità sperimentata nella famiglia d’origine e in quella che s’è formata poi lo rendono una persona positiva, concreta e al tempo stesso aperto a ciò che è bello e buono. Possiede una grande sensibilità artistica: se un tempo ha tentato pittura, presto ha capito che un’altra era la sua arte. E la ristorazione che lui fa e divulga è effettivamente un’arte, un talento che lui mette al servizio degli altri.
Dove ha trovato la forza per ribellarsi alla ‘ndrangheta?
Proprio nei valori appresi in famiglia, come dicevo: valori di cui il padre è stato vero maestro per lui e per gli altri figli.
L’immagine della Calabria è spesso associata a stereotipi negativi. Che volto della Calabria mostra questo libro?
Un volto ben diverso da quegli stereotipi negativi, e che dice operosità, creatività, condivisione di saperi e di eccellenze regionali.
Qual è il tuo piatto preferito cucinato da Filippo Cogliandro?
Riderai, ma non mi è capitato finora di assaggiarne nessuno. E dato che per motivi di salute devo purtroppo fare delle rinunce, non so quanta soddisfazione potrei dargli. Per concludere vorrei sottolineare la generosità con la quale Filippo, fin dagli inizi della sua carriera, ha messo le sue competenze in campo culinario a disposizione dei giovani, anche immigrati, alcuni dei quali ora sono chef come lui, come pure la sua capacità di animare, coinvolgendo altri chef, iniziative per gli emarginati e i bisognosi di Reggio e in aiuto a Paesi africani. Insomma è una fucina di idee che poi non rimangono tali e una figura trascinatrice.