Che può fare la società civile?

Il compito di pensare al bene comune dei cittadini del mondo spetterebbe alla politica internazionale ed alle istituzioni politiche ed economiche, ma mentre alcune delle istituzioni necessarie a questo scopo ancora non esistono, quelle già operanti, per ragioni legate alla storia della loro nascita, tengono conto in via prioritaria degli interessi delle nazioni che le hanno fondate. Cresce la frustrazione dovuta alla attuale incapacità della politica a governare gli aspetti negativi della globalizzazione e nasce una diffusa protesta. Si rifiuta questo evento storico ineluttabile, dimenticando che, grazie ad esso, si è avuto un notevole sviluppo economico ed è migliorata la qualità della vita in buona parte del mondo, anche se non ovunque. Allo stesso tempo non possiamo ignorare che larghe fasce di popolazioni nel mondo stanno pagando con una vita misera e senza speranza gli “effetti collaterali” della globalizzazione. L’Onu ha calcolato che per controbilanciare questo danno occorrerebbero ogni anno almeno 50 miliardi di dollari. Risorse che, se non si troveranno diversamente, dovranno arrivare da un inasprimento del prelievo fiscale nei paesi ricchi. Si potrebbero trovare altrove, dice Leo Andringa, tassando quel mercato che avviene senza pagare alcuna Iva, cioè il commercio internazionale di denaro. Sarebbe una tassa: la cosiddetta Tobin tax, che questa volta pagherebbero solo le banche ed i grandi speculatori. L’ipotesi è suggestiva. Ma vista l’influenza dell’economia sulla politica, è difficile che si riesca a vararla, anche se in Europa si è deciso di studiarne l’applicazione. Noi come New Humanity abbiamo lanciato un anno fa, assieme al movimento Giovani per un mondo unito, una proposta alternativa: non una tassa, ma un accantonamento per trenta anni, in un Fondo giovani per il mondo, di una piccolissima percentuale dei movimenti in valuta: lo 0,05 per cento. Abbiamo invitato persone ed aziende ad aderire a questo accantonamento quando effettuano operazioni valutarie, ed abbiamo invitato i governi a favorire fiscalmente questo Fondo, suggerendo di renderlo obbligatorio nel loro territorio. Se l’idea si diffondesse, esso potrebbe raccogliere un ammontare pari a quanto l’Onu ha calcolato necessario, pur investendo un terzo dei soldi su beni a lungo termine redditizi, per essere in grado di restituire il fondo dopo i trent’anni: in materie prime, in foreste ed in azioni di grandi aziende sovranazionali, in modo da diventare di queste azionisti importanti, in grado cioè di orientarne gli obiettivi nella direzione di uno sviluppo sostenibile. Abbiamo presentato la nostra proposta al G8 di Genova, e poi all’Onu, in preparazione del congresso di Monterrey del marzo scorso; essa viene presentata anche in vari congressi come quello di Lisbona del 4 maggio scorso su “Una globalizzazione solidale”, a cui sono intervenuti studiosi di economia e politici di diversi paesi. Da Genova a Monterrey, a Lisbona, queste idee si stanno facendo strada.

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