“Che occhi grandi che hai”

“Tutti i grandi sono stati bambini una volta ma pochi di essi se ne ricordano”. In questa frase semplice e profonda di Antoine de Saint-Exupéry si può dire racchiusa una filosofia di arte e di vita, quella di Nino Pozzo, veronese e burattinaio. Di lui ricorrono due anniversari: i vent’anni dalla morte avvenuta nel gennaio 1983 e gli ottant’anni dalla nascita di quello che lui stesso chiamò “Teatro mondo piccino” quando gli diede vita nel 1923. Così scrive Marco Campedelli, discepolo e continuatore: “Era da poco terminata la prima guerra mondiale lasciando un senso di vuoto e di smarrimento. La gente aveva voglia di sognare, di ridere o forse anche di piangere. Di dare un nome ai propri desideri e alle proprie paure. Il teatro dei burattini presentava tutto questo in metafore viventi. (“) L’antico incanto della commedia dell’arte prendeva vita nella baracca dei burattini. Era quel teatro una sorta di rito popolare. Una forma di esorcismo collettivo. I diavoli che di volta in volta infilavano i calzoni dei diversi dominatori precipitavano nell’abisso e il bene trionfava di nuovo. Ma l’eroe non era né Ulisse, né Enea e neppure Achille. Ma Fagiolino. Nel quale l’uomo comune si poteva identificare. identificare. Egli era in fondo l’eroe della coscienza civile, della libertà conquistata, della giustizia quotidiana”. Al nostro mondo che vive di effetti speciali” potrebbe non dire niente il fatto che tra gli anni Trenta e Quaranta Pozzo ideò gli scherzi meccanici: un corto circuito con polvere da sparo in grado di far crol- lare quinte e scenari. Introdusse poi uno zoo fatto di animali azionati in maniera da mettere in scena sfide spettacolari. Vere e proprie attrazioni per il pubblico di allora. “Ma il vero spettacolo – continua nella sua descrizione Campedelli – era la meraviglia che usciva dagli occhi del pubblico, dalle risa e dal silenzio, dalla paura e dall’allegria che attraversavano gli spettatori. Il teatro per vivere aveva bisogno di un pubblico per cui vivere. Questa complicità durò sessant’anni e divenne il segreto del teatro di Nino Pozzo. Il nostro burattinaio morì l’11 gennaio del 1983. Aveva già superato gli ottant’anni. Ma sarebbe tornato ogni notte a risvegliare il poeta che c’è in ciascuno”. Verona ha ricordato Nino Pozzo con una mostra dal titolo emblematico: “Che occhi grandi che hai”. Presso il Centro internazionale di fotografia Scavi Scaligeri, in collaborazione con il Teatro mondo piccino, ha voluto rendere omaggio all’artista scomparso, quel “maestro burattinaio che con i suoi personaggi e le sue storie ha fatto crescere e sognare più di una generazione”. Evoca appunto quello stupore che fa parte di noi, del nostro sentire e che ci rende capaci di continuare a meravigliarci di fronte alle cose belle della vita. Lo stupore dell'”eterno bambino” che vuole continuare a vivere e che ci impedisce di affossarci nelle inquietudini dell’esistenza. Lo stupore che abbiamo perso ma che possiamo sempre recuperare. Quelli che bambini lo sono anche anagraficamente ci insegnano”

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