Che me ne faccio della vita?

Una sera d’estate. Sto rincasando da una festa, quando vengo coinvolta in un gravissimo incidente motociclistico. L’amico alla guida muore sul colpo mentre io – con lesioni che mi immobilizzeranno in ospedale per due mesi – rimango in coma cinque giorni… Mia madre fa pregare persino le pietre per chiedere il miracolo di una guarigione che i medici non danno affatto per scontata. Ed eccomi riprendere conoscenza, col ricordo di una visione dolcissima: dopo aver percorso un tunnel tutto buio, mi son trovata in uno splendido giardino fiorito. Prima di un’esperienza così singolare, e dotata di un carattere forte, che non ama le mezze misure né sopporta ipocrisie, mi sembrava di avere il mondo in mano e volevo disporre della mia vita, un po’ come tutti gli adolescenti. Ora però le ragazzate di prima non mi interessano più, la sofferenza mi ha reso donna, accelerando la corsa verso l’Essenziale. Penso sia piuttosto comune, per chi ha visto la morte in faccia, dare una svolta alla propria esistenza. Per me, così sensibile ai problemi sociali da darmi da fare in prima persona per risolverli, è l’invito ad un impegno ancora maggiore per gli altri. È così che, frequentando un gruppo di giovani dei Focolari, decido di donare la mia vita a Dio, quasi in riconoscenza per avermela lasciata integra. Con tutto l’entusiasmo e lo slancio dell’età (sono appena maggiorenne), lascio un ragazzo che m’interessa, saluto parenti, amici e conoscenti e parto per un periodo di prova in una comunità. Finalmente posso rispondere concretamente a quel richiamo di donazione, ma non tutto corre così liscio: dopo qualche tempo la fatica che l’impegno di questa vita richiede risulta eccessiva per me. Così, dopo un anno e mezzo torno a casa, arricchita da un’esperienza tanto speciale, sempre convinta che Dio mi chiama alla radicalità, non necessariamente, però, vincolata da una consacrazione. Rientrare nei ritmi di una volta richiede tempo; spesso, mi viene da reagire: Ti ho dato la mia vita per sempre e tu… non la vuoi? Ed ora che me ne faccio?. Per fortuna la grinta che mi contraddistingue salta fuori quando mi sembra di toccare il fondo e ricomincio: vinco un concorso in Lombardia e faccio le valigie. Non so neppure dove sia Saronno, so che è famoso per via dell’Amaretto: quanto basta per iniziare quest’avventura col sorriso. Mi assumono il 18 luglio 1991: parto da zero, senza alcuna esperienza lavorativa come ostetrica. Sarà un periodo intensissimo per l’impatto col ritmo dei turni e l’enorme responsabilità che mi trovo a ricoprire. Dopo sei mesi vengo chiamata ad Albenga (a 10 chilometri da casa dei miei) per una sostituzione, che, a sentire l’ufficio del personale, dovrebbe trasformarsi in ruolo. Avrei voglia di farla finita per sempre con quest’esperienza da incubo, ma il buon senso prevale e chiedo solo un periodo di aspettativa. Torno a casa felice, anche se, ora che ho assaporato la libertà, sento di averne estremo bisogno, per cui mi cerco un appartamentino, con la scusa di evitare il viaggio. La gavetta non è ancora finita, tanto più che ogni ambiente ha il proprio modo di lavorare, cambiano le colleghe, i medici… ma poter dormire sulla spiaggia quando termino il turno di notte mi sembra impagabile. Contrariamente però alle mie aspettative, l’incarico non si trasforma in ruolo alla sua scadenza. Con un nodo alla gola devo tornare a Saronno col suo clima umido, nebbioso, freddissimo d’inverno ed estremamente afoso d’estate. Mi sembra di non farcela a ricominciare da capo, lasciando dei rapporti allacciati a fatica. Fra l’altro ho appena intrecciato una relazione con G., superando le mie resistenze per tornare a sentirmi un ragazza piena di vita che non guarda più al passato, se non per farne tesoro. Eppure voglio credere che tutto è amore di Dio, ma mi è così difficile! Ormai le amicizie in Liguria si sono ovviamente allentate, a causa dei turni e della distanza, e nell’ambiente in cui lavoro faccio fatica ad inserirmi… Voglio cambiare! decido dentro di me: in fondo, se morissi ora, non mi verrebbe chiesto se mi piaceva il posto in cui vivevo, ma se amavo chi avevo accanto. E così avviene questa rotazione a 360° nei confronti delle persone che avvicino, dove ogni incontro diventa un’occasione unica da sfruttare fino in fondo. Le esperienze positive ora non si contano e culminano nell’incontro con Filippo, a casa di amici comuni. Con lui è il classico colpo di fulmine… tanto da non riuscire più a pensarci l’uno senza l’altra. È come se io fossi arrivata nella sua vita al momento giusto e lui fosse stato lì ad attendere da sempre, pazientemente, che superassi tutte le vicissitudini della mia giovinezza. E allora, quando ci sposiamo? sorride Filippo, lanciandomi uno sguardo innamorato al termine di un incontro per fidanzati. Non credo alle mie orecchie, io che ero già pronta da tempo. È scattato anche per lui il momento in cui l’amore supera il timore dell’incognita. Calendario alla mano, la prima data possibile ci sembra il 13 aprile, esattamente fra cinque mesi. Quanto alla casa, per il momento puntiamo ad una in affitto: 40 metri quadri saranno sufficienti come primo nido. Ci piace pensare a due cuori e una capanna, in cui, però, non manchino un grande tavolo per l’ospitalità ed un posto letto per ogni evenienza. I preparativi incalzano, con scelte piuttosto insolite: niente fotografo ad immortalare il grande evento, ma l’equivalente delle spese da destinare in beneficenza; e al posto del classico pranzo, il gradevole compromesso rappresentato da un buffet intercalato da canti e giochi… Parallelamente, il tempo che ci separa dal giorno tanto atteso è segnato da dolorosi eventi familiari per Filippo: la grave malattia, con esito infausto, del suo papà; e la caduta in una profonda crisi depressiva della madre, che la farà decidere di non partecipare al matrimonio del suo unico figlio… Tutto sembra ritorcersi contro; per fortuna, siamo continuamente sostenuti da un numeroso gruppo di amici. E più forte è quello che ci appare come un disegno di Dio su entrambi. E il 1° maggio 1996 (nel frattempo abbiamo dovuto spostare due volte la data delle nozze) la chiesa è gremita, ci avviciniamo insieme all’altare e sentiamo di essere assolutamente soli davanti a Lui…

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