Che cos’è l’educazione prenatale

La gestazione è momento cruciale e delicatissimo nel quale si pongono le basi dello sviluppo, non solo fisico, del bambino. La relazione tra il feto e la mamma e il papà condiziona infatti la formazione della sua personalità. È quanto ci spiega Gino Soldera nell’affascinante saggio Mamme e papà, l’attesa di un bambino (Città Nuova, 2014)
Mamme e papà

Nessuna funzione, nessun pattern motorio

inizia con la nascita, ma tutto esiste già prima,

in quell’altro universo che è il ventre materno,

durante quei mesi che sono i più importanti della nostra vita.

Ernesto Tajani

Con l’educazione prenatale non si intende “insegnare” alcunché al nascituro: l’educazione non va confusa con l’istruzione. Etimologicamente la parola “educazione” ha due significati complementari: tirar fuori da e nutrire, aver cura.

La parola “educazione” evoca in molti l’idea della scuola, ma regole e programmi riguardano l’istruzione, ossia la trasmissione di conoscenze e di abilità che provengono dal mondo esterno, mentre in realtà l’educazione è essenzialmente il risveglio, lo sviluppo di facoltà e di attitudini che sono già insite dentro di noi.

I suggerimenti, le regole, le indicazioni e controindicazioni che vengono fornite nel campo dell’educazione prenatale hanno quindi unicamente lo scopo di permettere ai genitori di trovare, in modo libero e non costrittivo, il canale più adatto per manifestare concretamente il loro amore al figlio.

[…]

Durante questo periodo vengono poste le basi per lo sviluppo futuro del bambino, del suo stato di salute o malattia, di benessere o malessere, di soddisfazione o sofferenza.

Si costruiscono inoltre le fondamenta per lo sviluppo delle potenzialità latenti: esse sono importanti per consentire all’individuo di essere se stesso nella vita e per realizzarsi come persona.

Tornando quindi al significato educativo di tirar fuori, esso parte dall’idea che il concepito non sia una tabula rasa, ma un essere umano dotato di potenzialità e di risorse, con una sua ben precisa struttura genetica, un suo progetto di vita e identità personale.

Il progetto di vita scandisce le tappe dello sviluppo del bambino e le modalità del suo comportamento, secondo un orientamento autoeducativo (nostro figlio trova in sé gli strumenti per potersi formare, data la sua capacità di auto generarsi e di autoevolversi) che noi genitori dobbiamo riconoscere e rispettare.

 

In questo senso siamo impegnati a farci carico del nostro bambino, ad accettarlo così com’è, integralmente, senza riserve, fin dal momento del concepimento, costruendo con lui un rapporto esistenziale profondo.

Questo ci permette di conoscere davvero la sua individualità, con il suo progetto di vita, così da metterlo nelle condizioni di esprimerlo secondo una metodologia e un percorso strettamente personalizzati.

Infatti, dobbiamo tenere presente che nel percorso educativo ciò che va bene per uno non va bene per un altro. L’obiettivo dell’educazione (Soldera, Mussato 2010) è quello di permettere al bambino, quale sia la sua condizione, di essere se stesso, di esprimere le sue potenzialità e di vivere in modo libero, spontaneo e naturale: ciò che raramente viene reso possibile.

L’altro aspetto dell’educazione, il prendersi cura del bambino, ha un significato etero-educativo (cioè siamo noi genitori educatori a fornirgli i mezzi): nostro figlio si trova in una condizione di totale dipendenza e ha bisogno della madre e del padre per potersi formare e crescere.

Se consideriamo che il concepito durante il corso di tutta la gestazione è presente nel grembo materno come essere vivente, essere umano, persona (anche se in forma di zigote, embrione e feto), allora possiamo:

– fare spazio dentro di noi, accoglierlo nella nostra vita,

ascoltarlo, conoscerlo e considerarlo;

– entrare in relazione con lui e avere (oltre agli scambi ormonali)

degli scambi di natura affettiva, emozionale e psichica;

– vivere delle nostre esperienze accanto alle sue e crescere

insieme a lui: questo vale in primis per mamma e papà, e per i familiari, ma anche per gli operatori sanitari e gli altri.

Le ricerche sulla relazione madre-figlio svolte dall’americana Janet Di Pietro (2004) hanno messo in evidenza che non solo la madre condiziona il nascituro, ma che anche il nascituro condiziona la madre, avendo puntualmente riscontrato che, quando il figlio si muove, il sistema nervoso della madre si attiva, anche se non ne è consapevole, animando la relazione d’attaccamento.

Uno straordinario processo di comunicazione, questo, in cui anche la figura del padre assume una fondamentale importanza sia nella relazione con la moglie o compagna sia con il figlio, non ancora nato ma che già c’è e che già occupa un posto importante in famiglia e nella ridefinizione dell’identità di coppia.

Educazione prenatale significa quindi ritrovare un naturale rapporto con se stessi e con la propria intimità, con il cuore aperto alla vita: questa diventa un’occasione di profonda relazione con il figlio, alla ricerca di un lento fluire, per valorizzare l’esperienza del poter stare, ossia concedersi dei momenti in cui restare comodamente adagiati, senza far nulla di particolare, proprio come fanno i bambini di pochi mesi quando se ne stanno completamente rilassati, abbandonati tra le braccia del genitore, lo sguardo che vaga intorno pacifico e un’espressione di beatitudine sul viso.

Gino Soldera, Mamme e papà, l'attesa di un bambino (Città Nuova, 2014)

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