Che cosa significa “gender”?

Un tema al centro del dibattito culturale e sociale. Susy Zanardo nel voler fare chiarezza sull’argomento dedica un libro al tema. Il testo inaugura la collana "Dossier": testi di approfondimento e dialogo su temi di attualità. 112 pagine per conoscere l’argomento e le varie posizioni in campo. Un accessibile strumento di informazione per non scivolare nelle secche dello scontro ingenuo e demagogico. Libri disponibili in abbonamento con Città Nuova o in libreria
Gender

Si assiste oggi, specialmente in ambito edu­cativo, a una crescente discussione, quando non a una dura battaglia, tra due tendenze estreme: da una parte, i fautori dell’agenda di genere che – in nome dei princìpi di uguaglianza, non discrimina­zione e autodeterminazione del singolo – propon­gono una educazione alla diversità che prevede la promozione delle minoranze sessuali e l’equipara­zione giuridica e simbolica di ogni forma di rela­zione affettiva; dall’altra, la reazione degli opposi­tori che sospettano una forma di indottrinamento concertato da interessi potenti, con lo Stato che funge da garante. Genitori e insegnanti rimango­no di frequente disorientati e confusi sul significa­to dei termini in discussione e sulle implicazioni sottese allo scontro.

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Per orientarci nel complesso dibattito in cor­so, è opportuno fare alcune premesse.
Per millenni l’avventura umana si è basata su un’antropologia binaria: maschio-femmina, uomo-donna. Col tempo, però, sono emersi alcuni esiti problematici, perché la differenza sessuale ha im­plicato anche discriminazione o contrapposizione. A partire dalla fine degli anni ’60, alcune esponenti del Movimento di liberazione delle donne hanno messo a fuoco le principali forme di oppressione basate sulla differenza di genere:

 

 

1) l’oppressione materiale e simbolica dell’uomo sulla donna: da un lato, lui ne controlla il corpo, la sessualità e la ge­nerazione; dall’altro, stabilisce una «valenza diffe­renziale fra i sessi», ovvero una gerarchia tra ruoli e attributi maschili e femminili, assegnando a se stesso il lato socialmente più apprezzato.

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2) la costruzione di rigide frontiere tra le identità di genere: all’in­terno dell’organizzazione patriarcale, ciascuno è chiamato ad appartenere a uno o all’altro dei sessi, ogni altra configurazione essendo socialmente san­zionata. Non si tiene in debito conto la vulnerabi­lità di chi nasce con genitali ambigui – bambini intersessuati – o di chi si sente intrappolato in un corpo che non gli corrisponde – transessualismo, oggi rinominato disforia di genere;

 

 

3) la produzio­ne di stereotipi di genere (per cui, ad esempio, si suppone che le donne non siano brave in mate­matica e gli uomini non possano piangere): questi schemi ripetitivi provocano non di rado sofferen­za, senso di inadeguatezza e non accettazione di sé, se un uomo o una donna non sono in sintonia con il modello dominante.

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I gender studies e il postfemminismo, nell’ulti­mo scorcio nel Novecento, affermano che l’essere umano non è uno due, ma molteplice. Questo vuol dire che è frammentato, nomade, plastico. Il genere separa, per esempio, la percezione di sé (identità di genere) dalle aspettative sociali (ruolo di genere), il corpo (come si nasce) dall’autoiden­tificazione come maschio o femmina (come ci si sente); fa dell’identità di genere uno schema men­tale (psico-sociale) influenzabile dall’educazione e dal sistema delle aspettative in una data società. Promuove infine la trasformazione del tessuto so­ciale: il regime di genere può infatti essere fatto e disfatto a seconda dei rapporti di forza, riconfi­gurando per esempio l’istituto del matrimonio o l’ordine della generazione.

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Nelle teorie del genere il soggetto appare de­terminato dai condizionamenti sociali; meglio, dai rapporti di potere e dai loro imperativi culturali (compreso quello di disfare ogni identità). Se però si considera l’essere umano come esclusivamente sottomesso alle costruzioni sociali, si nega da una parte il suo radicamento in un corpo, e quindi la sua capacità di fare esperienze proprie (non dettate da copioni pronti all’uso); dall’altra si nega anche la possibilità che il soggetto prenda le distanze rispetto ai propri vissuti e alle pressioni sociali assegnando loro un senso personale. In altri termini, sono ne­gati al tempo stesso il corpo che sente e la natura spirituale dell’essere umano.

 

 

La proliferazione di identità transitorie e la pol­verizzazione delle differenze promossa dal transgen­der maschera poi il rifiuto del limite e la paura di ri­conoscersi finito. Nel suo sogno di essere ogni cosa, esso lascia trasparire la difficoltà ad avere a che fare con la differenza sessuale. La promessa della libertà assoluta (o di un desiderio senza vincoli) paga però un prezzo altissimo: l’instabilità di un’identità fatta e disfatta in continuazione ha un costo psichico e uno stress esistenziale enormi. Si promette libertà, ma si genera infelicità.

 

Da Gender di Susy Zanardo. Contributi di: Paola Binetti, Livia Turco, Daniela Notarfonso (Città Nuova, 2016)

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