Che Casino!

Il ciclo dei Nazareni nel “ritiro di campagna” dei marchesi Giustiniani Massimo: un gioiello pressoché sconosciuto a due passi dalla basilica di San Giovanni in Laterano
Casino Giustiniani Massimo

Quasi nascosta tra i condomìni del quartiere ottocentesco sorto dopo l’unità d’Italia nella zona Lateranense, in via Boiardo, una antica palazzina attira l’attenzione per la sua facciata impreziosita da reperti di epoca romana. Immerso, un tempo, in un vasto appezzamento agreste di cui oggi rimane solo il giardino prospiciente la sua facciata posteriore, è il seicentesco Casino fatto erigere dal marchese Vincenzo Giustiniani, accanito collezionista di antichità, come sua villa di campagna. Dopo essere stato venduto nel 1802 al marchese Carlo Massimo, venne acquistato nel 1948 dagli attuali proprietari, i frati minori della Custodia di Terra Santa, per poter offrire ai loro confratelli, nei pressi della basilica di San Giovanni in Laterano, un luogo dove sostare in occasione dei loro viaggi di studio in Italia.

La presenza dei francescani nei luoghi santi come loro custodi ha le sue radici nel viaggio compiuto da san Francesco in Palestina. Dal XIV secolo, inizio ufficiale della Custodia, andò crescendo lo studio in loco delle origini del cristianesimo. La svolta decisiva ai primi del Novecento con l’istituzione, a Gerusalemme, dello Studium Biblicum Franciscanum, per insegnare ai giovani frati le basi dell’archeologia. Seguirono le prime grandi campagne di ricerca delle testimonianze lasciate dalle comunità giudeo-cristiane. Tra i nomi illustri da ricordare nell’arco di un secolo, quelli di padre Bellarmino Bagatti, che portò alla luce a Nazareth la più antica iscrizione in greco dell’Ave Maria, e di padre Virgilio Corbo, cui si deve la scoperta della casa di Pietro a Cafarnao.

Formatosi alla scuola di questi grandi, padre Michele Piccirillo è conosciuto in tutto il mondo per aver restituito alla luce, nel Vicino Oriente, un patrimonio archeologico di rara bellezza, a conferma dei dati storici del cristianesimo e delle radici cristiane di una regione oggi a larga maggioranza musulmana. A lui si deve il salvataggio di innumerevoli mosaici bizantini da vandalismi e lavori edilizi, nonché la creazione, in Giordania e Israele, di scuole per giovani restauratori, prescindendo da fedi religiose e nazionalità. Amico di potenti, ma anche di semplici beduini, ha accompagnato nei luoghi santi anonimi pellegrini e personalità come Giovanni Paolo II durante il suo storico viaggio nel marzo del duemila.

E apposta per intervistare questo frate archeologo, nel luglio 2008 ho messo piede per la prima volta nella prestigiosa sede romana della Delegazione di Terra Santa. Durante quell’intervista, fattagli all’indomani della premiazione di un documentario di Rai Cinema dedicato alla sua trentennale attività di scavo e restauro sul monte Nebo, a Madaba, a Umm er-Rasas, nel luogo dove Gesù venne battezzato, e in altri siti, mi aveva colpito il tono dimesso con cui questo “Indiana Jones col saio” (come veniva chiamato scherzosamente dagli amici) riferiva di emozionanti scoperte condotte in mezzo a difficoltà d’ogni sorta, quasi ne fosse già distaccato. Ignoravo la malattia che di lì a poco, nell’ottobre di quello stesso anno, l’avrebbe stroncato all’età di 64 anni. Ora, per suo desiderio, riposa in quel santuario sul monte Nebo che la tradizione indica come luogo di sepoltura di Mosè.

Con l’occasione dell’intervista a padre Piccirillo ho avuto anche modo di visitare le stanze al pianterreno del Casino Giustiniani-Massimo, stanze interamente decorate ad affresco con scene tratte dalla Divina Commedia, dall’Orlando furioso e dalla Gerusalemme liberata per volontà del secondo proprietario, il marchese Carlo Massimo, che ne affidò l’esecuzione ai pittori Overbeck, Veit, Koch, Schnorr von Carolsfeld e von Füchrich. Costoro appartenevano alla cerchia dei Nazareni, così noti per la foggia dei capelli “alla nazarena”, un gruppo di pittori tedeschi della prima metà del XIX secolo che si proposero di rinnovare l’arte su basi religiose e patriottiche, prendendo a modello l’arte di A. Dürer, dei “primitivi” italiani e di Raffaello giovane. Oltre ai prediletti soggetti sacri e di storia medievale, letti spesso in chiave simbolica, essi mirarono a ripristinare la tecnica dell’affresco. Uno dei capolavori di questa corrente è proprio il ciclo realizzato per il “ritiro di campagna” del nobile romano, dove si ammirano vigoria ed equilibrio di composizione, freschezza di colore e felici soluzioni nell’adattare agli ambienti le scene dipinte.

Questa affascinante sintesi pittorica della grande civiltà letteraria italiana viene ora presentata per la prima volta al grande pubblico da un volumetto riccamente illustrato: Il Casino Giustiniani Massimo al Laterano (Edizioni Terra Santa). L’autrice Monica Minati, dopo averripercorso le vicende storiche e architettoniche di questa palazzina lungo i secoli e aver accennato alla decorazione marmorea delle facciate, passa a descrivere quella pittorica degli interni rappresentata dalle stanze di Dante, Ariosto e Tasso, cui si aggiungono le sale del piano superiore non aperte al pubblico, affrescate in stile neoclassico e pompeiano.

Tante bellezze da contemplare in pace, senza il disagio di mettersi in fila per il visitatore che bussi al cancello della Delegazione di Terra Santa: infatti il Casino Giustiniani Massimo è un gioiello sconosciuto ai più.

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