ChatGPT, una nuova tendenza. Il dibattito
Jenna Lyle è portavoce del dipartimento dell’educazione di New York. Spiega come l’applicazione sia stata bannata da tutte le reti e i dispositivi presenti nelle scuole pubbliche della grande mela. La causa: le preoccupazioni inerenti a come avrebbe inciso sull’apprendimento degli studenti. È un dilemma condiviso, basato di fondo su due tipologie di pensiero. La prima si basa sul dubbio che, essendo ChatGPT in grado di fare ricerche e produrre elaborati originali, potrebbe impigrire gli studenti. Facilitare loro un compito che, già nel suo svolgimento, è profondamente formativo. Altra incertezza, che, in realtà, è un rischio concreto, si tratta del fatto che la chat non distingue informazioni vere da quelle false. Quindi l’utilizzarla potrebbe anche essere un lavoro vano che instilla conoscenze fallaci nei ragazzi.
Ad ovviare a questo problema, in un ipotetico futuro, ci sarebbe il fatto che la versione dell’app è ancora la Beta, gratuita, accessibile a tutti, ma è prevista l’uscita di una nuova versione. Sarà più affidabile e corretta nelle informazioni che fornirà. In Australia, le università valutano addirittura di tornare interamente agli esami con carta e penna. La ragione: evitare che questi vengano falsificati grazie al temuto chatbot.
L’organizzazione che ha lanciato lo scorso novembre la ChatGPT (acronimo per Chat Generative Pretrained Transformer) si chiama OpenAI. È americana e si occupa di intelligenza artificiale, sedotta (fondata) e abbandonata da Elon Musk. L’obiettivo era un generico «fare avanzare l’intelligenza digitale in modo che possa portare benefici all’umanità». È legittimo chiedersi comunque se, oltre a pensare ai benefici, ci si sia interrogati sui contro. Il fatto che queste app (e gli stessi social media) abbiano una regolamentazione in fatto di privacy e conseguenze sui giovani molto poco definita, che sembra in realtà prendere forma solo quando nasce qualche problema serio (forse prevedibile?), fa riflettere.
Sarebbe questa la causa per cui venerdì 31 marzo 2023 il Garante per la privacy ha disposto con effetto immediato la limitazione provvisoria del trattamento dei dati degli utenti italiani nei confronti di OpenAI. L’organizzazione ha quindi provveduto a inibire l’accesso a ChatGpt degli indirizzi IP italiani.
«Caro cliente di ChatGpt, Siamo spiacenti di informarti che abbiamo disabilitato ChatGpt per gli utenti in Italia su richiesta del Garante italiano». Questo il messaggio che compare a chi prova a registrarsi. Il ceo (amministratore delegato) di OpenAI, Sam Altman, motiva in un tweet il blocco, senza astio. Sostiene però di seguire tutte le leggi sulla privacy.
Giovanni Emanuele Corazza è professore d’Ingegneria all’Università di Bologna e fondatore del Marconi Institute for Creativity. Su “La Stampa”, in un articolo di Nadia Ferrigo, spiega il suo pensiero a riguardo: «Il chatbot può generare contenuti, ma è incapace di esternare valore e significato. Fino a che chatbot come questo non avranno una coscienza, non saranno cioè in grado di essere consapevoli di quel che stanno facendo, cosa peraltro improbabile, il processo creativo resterà nostro». Un altro timore è infatti quello che l’app possa sostituire, tra gli altri, il lavoro di un giornalista o di uno scrittore.
L’incertezza più grande rimane la ripercussione a livello scolastico. Il professore fornisce una visione alternativa: «Si può anche pensare creativamente ai modi in cui ChatGPT potrebbe essere usato in un sistema scolastico del futuro. Si potrebbe per esempio chiedere a ChatGPT di svolgere una ricerca su un argomento e agli studenti un’analisi a posteriori del risultato, distinguendo ciò che è vero da ciò che è falso o irrilevante. Così si può allenare il pensiero critico […], un talento umano assolutamente fondamentale da sviluppare».
Gianluca Nicoletti scrive in un commento su “La Stampa” delle parole che possono tornare utili a tutti i docenti e, in generale, possono essere una dritta per imparare a gestire questi cambiamenti: «Mentre si cerca il paradiso perduto della didattica perfetta, il vero lavoro dell’insegnante potrebbe non essere più quello di correggere un compito, quanto piuttosto quello di cercare tracce dell’intelligenza artificiale […]. La soluzione non potrà certo essere, ancora una volta, quella di bloccare, impedire, inibire».
Fino a che la scuola, afferma Gianluca Nicoletti, si arroccherà su posizioni tutt’altro che contemporanee, guardando con eccessivo sospetto gli strumenti digitali moderni, gli studenti ne saranno invece sempre più dipendenti. Ma l’integrazione va fatta in primis dai docenti. Dovrebbero imparare come funzionano queste piattaforme. Magari farne anche argomento di lezione. «Nessuno può soccorrere chi potrebbe affogare se non impara a nuotare».
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