A Chartres con Charles Péguy
Metà giugno 1912, a sud-ovest di Parigi. Sulla strada per Chartres procede solitario un pellegrino, Charles Péguy. Si è da poco congedato dall’amico Alain-Fournier, il futuro autore de Il grande Meaulnes, che ha percorso con lui il primo tratto fino a Dourdan. Gronda sudore per la fatica e con lo sguardo in cerca di qualcosa scruta gli immensi campi di frumento e avena dell’altipiano della Beauce: un panorama che potrebbe richiamare alla mente il verso di Luigi Tansillo, un poeta minore del Cinquecento: «e versan fiamme le campagne bionde». E poeta, oltre che scrittore, è anche il pellegrino che da ore marcia sotto un sole implacabile. Finalmente in lontananza, a restituirgli lena nel cammino, appare altissima una guglia (115 metri) a segnalargli la meta agognata: Chartres, la cattedrale di Notre-Dame.
Vi era stato una prima volta nel settembre del 1900, al termine di un periodo di istruzione militare in quella regione della Francia. Risale ad allora il suo invaghimento per il più perfetto dei templi gotici, per il blu delle sue vetrate (un tipo particolare di blu noto appunto come “blu di Chartres”), per il labirinto a cerchi concentrici inscritto nel pavimento della navata centrale: rappresentazione simbolica del percorso dell’uomo verso Dio. Vi fa ritorno ora per un motivo preciso: consegnarsi a Notre-Dame come ultima risorsa e supplicarla per la guarigione del figlioletto Pierre, gravemente malato di febbre tifoidea.
Quel pellegrino 39enne è tra i grandi scrittori, poeti e pensatori europei dell’era moderna, cristiano che sfugge ad ogni tipo di conformismo e… profeta. Sì perché la sua lucida visione del cristianesimo e della società del proprio tempo anticipa l’attuale crisi epocale della Chiesa e di una società senza Dio. Argomento di ciò è la biografia edita da Ares Charles Péguy amico presente. “Amico presente” perché – spiega l’autore Giorgio Bruno – questa vita appassionata, segnata da fedeltà all’ideale evangelico e da «tesori di grazia incredibili», Péguy ce la consegna come un amico attraverso le sue opere, in questo 2023 nel quale ricorre il 150 anniversario della sua nascita.
Nato e cresciuto fra non praticanti e mangiapreti a Orléans, la città di santa Giovanna d’Arco (cui dedica un dramma), Péguy ha come la Pulzella tempra di combattente. Cercatore di verità e giustizia, lotta per i diritti dei lavoratori e affianca quanti si schierano a favore di Dreyfus, l’ufficiale ebreo ingiustamente condannato per alto tradimento: all’inizio, da socialista militante anche se isolato per il suo spirito indipendente, poi nel 1907 da credente in Cristo e negli ideali evangelici, abbracciati per maturazione spirituale senza tuttavia rinnegare quel passato.
Le armi, i mezzi a sua disposizione? L’immenso talento di scrivere. La sua opera più grande con la quale aspira a cambiare il mondo: i Cahiers de la Quinzaine, quindicinale che ospita interventi dei più importanti letterati del tempo oltre ai suoi stessi scritti. Per assicurare continuità a questa pubblicazione in cui chi scrive può dire liberamente ciò che pensa dei fatti politici e culturali, affronta sacrifici inenarrabili, lui che già deve provvedere a moglie e tre figli (il quarto nascerà dopo la sua morte in difesa della patria),
Lungi dall’essere un cristiano tranquillo pago delle sue convinzioni, Péguy soffrirà fino all’ultimo per l’impossibilità di accedere ai sacramenti a motivo della sua posizione irregolare: sposato infatti civilmente con una non credente che non ha voluto far battezzare i figli, per amore di lei, Charlotte, resiste alle pressioni di convertiti zelanti come Jacques Maritain perché l’abbandoni in modo da entrare nell’”ovile” della Chiesa. Rimasto così cristiano “sulla soglia”, da questa condizione marginale – riconosciuta poi come vocazione – attingerà forza e coraggio per sopportare le incomprensioni familiari e dei cristiani benpensanti, che lo ritengono scrittore sospetto perché “non praticante”, nonché la scarsa fortuna delle sue opere, oggi apprezzate perché così vive e attuali, ma ai suoi tempi diffuse quasi esclusivamente nella cerchia degli amici e dei lettori dei Cahiers.
Conforto e salvezza li trova soltanto in Maria, la Madre di Gesù. A lei votato come un cavaliere antico alla sua dama, a lei ricorre nei momenti più tragici della sua esistenza, allorché – sofferente per una malattia al fegato – medita il suicidio, o quando, schiacciato dalle preoccupazioni per i figli e per il lavoro, è anche tentato di infedeltà alla moglie.
Come in questa confidenza del 1908 all’amico Joseph Lotte: «La Madonna mi ha salvato dalla disperazione. Fu il pericolo più grande. […] Figurati che per diciotto mesi non sono riuscito a recitare il Padre Nostro… Non potevo dire. “Sia fatta la tua volontà”. Non potevo, capisci? Non riuscivo a pregare Dio perché non potevo accettarne la volontà. È terribile. Non si tratta di biascicare delle preghiere, ma di dire veramente quello che si dice, e io non potevo dire veramente: “Sia fatta la tua volontà”. Allora pregavo Maria. Le preghiere a Maria sono le preghiere di riserva… e non ce n’è una in tutta la liturgia, non una capisci? Non una che il più misero peccatore non possa dire veramente. Nel meccanismo della salvezza l’Ave Maria è l’estremo soccorso. Con questo non ci si può perdere».
Dopo il primo pellegrinaggio a Chartres («il luogo del mondo dove tutto diviene facile»), dal 25 al 28 luglio 1913 Péguy ne intraprende un secondo, accompagnato per un tratto dal figlio maggiore Marcel. È del 14 aprile 1914 il terzo e ultimo, questa volta in treno, insieme alla madre di Maritain e ad altre parenti di lei.
Ormai gli restano da vivere solo cinque mesi: verrà infatti freddato da un proiettile il 5 settembre 1914 nelle fasi iniziali della Prima guerra mondiale mentre nei pressi di Villeroy, con i gradi di tenente, è alla testa della propria squadra per controbattere l’offensiva tedesca alla Marna. Prima dello scontro, ha raccolto dei fiori campestri per ornare la statua della Madonna in una cappella dedicata all’Assunta, dove ha trascorso diverse ore in preghiera.
E tutte quelle per i familiari, gli amici e la Francia recitate davanti alla Vergine sotto le fresche navate della sua cattedrale, perso in un blu introvabile altrove? Non sono state senza risposta: Chartres ha evidentemente un effetto ritardato. Ne sono prova i pellegrinaggi annuali soprattutto di giovani (centinaia, migliaia!), che negli anni successivi alla morte di Péguy diventano abituali, spesso usando come schema di preghiera i suoi testi poetici più alti, più intensi con i quali aveva inteso celebrare Notre-Dame. La stessa vedova Péguy, una volta iniziati, proseguirà i suoi appuntamenti annuali alla stupenda cattedrale gotica finché ne avrà la forza. Ormai battezzata, come pure i suoi figli
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