Charlie e la mancata cittadinanza Usa
La notizia della cittadinanza statunitense concessa al piccolo Charlie Gard, il bimbo britannico affetto da una rara malattia genetica e che una controversa giurisprudenza ha destinato alla morte, ha fatto il giro del mondo in breve tempo e ha inondato la rete di articoli, commenti, like e polemiche. Peccato che la notizia si sia rivelata imprecisa e abbia costretto dopo diverse ore a rettifiche e smentite. Il sito del Congresso Usa che pubblica quotidianamente i lavori delle due Camere non ne conteneva cenno, ed era solo la relazione della Commissione a dedicare poche righe al bimbo: ma tanto è bastato per scatenare titolazioni ad effetto non verificate, se non per i tweet di due deputati che avevano votato un emendamento a riguardo.
Charlie non ha ottenuto la cittadinanza e non ha neppure ricevuto un permesso di soggiorno permanente negli Usa, la cosiddetta Green card. Che cosa è realmente accaduto martedì sera per convincere tanti colleghi che Charlie era diventato cittadino statunitense? Una commissione del Congresso Usa che si occupa di immigrazione ha approvato all’unanimità l’emendamento proposto dal deputato repubblicano Jaime Herrera Beutler, che chiedeva di concedere un permesso di residenza permanente al bambino inglese. L’emendamento perché diventi legge deve essere votato dalla Camera dei Rappresentanti e dal Senato. E infine è la firma del presidente a renderlo operativo. Un iter lungo quindi, che ha appena iniziato a muovere i primi passi. Eppure la notizia della cittadinanza ha inondato la rete senza approfondire il fatto, se non dopo parecchie ore e dopo che i media statunitensi avevano chiarito che la proposta di permesso di soggiorno non equivale alla cittadinanza: quindi nella diatriba giuridica sul destino di Charlie non ci si potrà appellare al fatto che il Regno Unito stia rifiutando le cure ad un cittadino statunitense.
La Green Card, proposta per la famiglia Gard consente un tempo di residenza illimitato negli States e permette di lavorare, di acquistare casa, di contribuire con le tasse alla spesa del Paese; ma non garantisce i diritti civili e politici della cittadinanza, a cui si accede dopo cinque anni di permesso permanente.
Questi i fatti. Va poi aggiunto che nella proposta di legge votata in Commissione sono contenute disposizioni sui finanziamenti alla costruzione del muro con il Messico, misure restrittive sulla politica migratoria e il divieto di usare i fondi dell’agenzia per l’immigrazione per favorire gli aborti e le pratiche sanitarie ad esso collegate. L’iter si annuncia piuttosto complesso visti i temi molto caldi e l’emendamento di Charlie rischia di smarrirsi per via: anche perché, scoperta la proposta del deputato Beutler – sensibile al problema poiché la figlia è affetta da una malattia rara – la piazza delle polemiche social è stata inondata di commenti, che contestano la scelta dei Repubblicani di salvare Charlie e di preparare al contempo una riforma sanitaria che non garantirà cure a migliaia di bambini statunitensi. I toni sono ancora aggressivi e irrispettosi, tipici di quel clima da campagna elettorale di cui il Paese fatica a liberarsi. Ci auguriamo che le speranze della famiglia Gard e la vita di Charlie siano preservate da queste parole vane e metta un freno alle polemiche. Noi giornalisti potremmo contribuirvi per primi: anzitutto verificando le notizie, e poi lasciando parlare i fatti più che le opinioni.