Champions league: cadono i giganti, sale Nagelsmann

Eliminazioni pesantissime per stelle pluridecorate come Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, ma anche per il ricchissimo Manchester City degli sceicchi, mentre sale il talento di un giovanissimo allenatore: Julian Nagelsmann

 

Champions league: un tonfo mediatico mondiale, quello che uno dopo l’altro ha visto uscire di scena dal più importante palcoscenico del calcio mondiale per club fior di campionissimi capaci di spostare da soli più giri d’affari di intere multinazionali. Come prevedere, del resto, l’uscita già agli ottavi di finale dell’ambiziosa Juventus di Cristiano Ronaldo? Come, soprattutto, prevedere l’epocale umiliazione per 8-2 subita dal Barcellona di Lionel Messi contro il Bayern Monaco ai quarti? Ma chi soprattutto, nella cornice di questo “cataclisma” sportivo in corso, avrebbe scommesso anche solo un caffè sul semisconosciuto Lipsia di Julian Nagelsmann, ora semifinalista? Un’ode al talento che ancora una volta si fa beffe di investimenti abnormi e forse persino difficilmente quantificabili: come se il calcio volesse ribadire che, se non imbrigliato da bari e doppiogiochisti sul campo, non ci saranno mai dollaroni che tengano per renderlo una scienza esatta a favore di chi è più ricco.

L’allenatore ragazzino

Nagelsmann è il più giovane tecnico ad arrivare così lontano in Europa: il suo Lipsia è in semifinale di Champions league dopo aver battuto l’Atletico Madrid e mai un tecnico era arrivato così lontano a 33 anni. Inizia ad allenare a 20 anni, nelle giovanili del Monaco 1860, per gli infortuni cronici dovuti ad una cartilagine del ginocchio che gli impedisce di trasformarsi nel difensore centrale che sognava di diventare: quel John Terry del Chelsea col nome del quale si fa persino chiamare. Mollare il calcio a vent’anni è dura, mentre decide di non proseguire con gli studi in business administration. Gestire «ambiti di responsabilità in cui io debba decidere molto sul futuro delle famiglie ed eventualmente lasciare a casa delle persone, non era il mio», dichiarerà. Troppa delusione, soprattutto all’inizio, ma Thomas Tuchel, suo ex allenatore nell’Augsburg II, gli dà la possibilità di lavorare osservando per lui gli avversari. Solo per un anno ma decisivo, a detta di Nagelsmann, che matura una vocazione precisa: «Se non posso farcela col calcio da giocatore, diventerò allenatore della Bundesliga», dichiara. Ci riesce eccome, superando non solo la delusione per una carriera mancata, ma anche il dolore per la morte del padre, che «lascia il campo» a 56 anni. Nel febbraio 2016, viene promosso da vice ad allenatore capo dell’Hoffenheim, al posto di Huub Stevens, che lascia per problemi di salute. Nagelsmann ha 28 anni: centra l’obiettivo di salvare la squadra che prende in mano da penultima, ma già nei due anni successivi raggiunge clamorosamente un quarto e un terzo posto, che vale la prima partecipazione del club alla Champions league.

 

La scelta di Rangnick 

Del suo percorso si accorgono in tanti: più di tutti Ralf Rangnick, uno dei grandi visionari del calcio tedesco che la Red Bull ha posto non a caso a coordinare i propri progetti calcistici europei (Salisburgo e Lipsia) e non solo (il Bragantino, portato quest’anno nella serie A brasiliana).

Il tecnico, accostato recentemente spesso al Milan, sceglie “il ragazzino” proprio per allenare il Lipsia: i motivi sono gli stessi per i quali già Rummenigge e Guardiola avevano cercato di portarlo al Bayern prima che diventasse allenatore dell’Hoffenheim. In primis, la capacità di cambiare sistema di gioco continuamente, da una partita all’altra ma anche nella stessa gara: sono almeno sei i diversi moduli di gioco adottati da questo giovane “scienziato della panchina”, che non gioca tanto per imporre il proprio gioco quanto soprattutto per adattarsi all’avversario e organizzare al meglio la fase difensiva, in maniera asimmetrica e difficilmente prevedibile. Lo stesso pressing delle sue squadre è variabile: una flessibilità che al momento narra però, numeri alla mano, di una delle fasi difensive più efficaci in Europa. Da qui il successo anche in Champions league.

L’equivoco del “piccolo Mourinho”

Tra i meriti della stagione, l’aver annichilito il Tottenham di José Mourinho (0-1 a Londra all’andata, 3-0 al ritorno). Da qui l’equivoco di un soprannome poco calzante, “il piccolo Mourinho”. La filosofia di Nageslmann appare invece ben diversa dal celebre collega portoghese: «La tattica non conta più del 30%, mentre il 70% dell’essere allenatore è rappresentato dalle proprie competenze socio-relazionali. Ogni elemento della squadra trae motivazioni da fattori diversi per cui deve essere stimolato in tal senso. È necessario trovare l’equilibrio tra qualità tecnico-tattiche e condizione psicologica della rosa». Sembra una sintesi da manuale del calcio contemporaneo, fatto di ibridazioni delle scuole moderne di questo sport sempre in evoluzione, con un vantaggio nato da una ferita: «I miei punti di forza – raccontò Nagelsmann nel 2013 – sono nell’ambito tecnico e tattico. In più posso aiutare, sulla base della mia esperienza, i giocatori ad assorbire i contraccolpi. Mi ricordo il primo incontro con la squadra. Ero già nervoso nello stare di fronte a professionisti con esperienza – spiegò – ma notavo anche che i giocatori volevano vedere se ero lì per caso o se avevo anche un piano. Hanno capito velocemente che potevo essergli d’aiuto. Non avevo aspettato che si instaurasse un rapporto di fiducia».

Benvenuto tra i giganti del calcio, Julian.

 

 

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