Champions League: ancora Real, ancora Ancelotti

Il Real Madrid lo fa ancora, Carlo Ancelotti lo fa ancora: la coppa di Champions torna in Spagna, per la quindicesima volta con il Real, per la quinta con “Carlo V”
L'allenatore del Real Madrid Carlo Ancelotti solleva il trofeo dopo la vittoria della squadra nella finale di UEFA Champions League tra Borussia Dortmund e Real Madrid, a Londra. (Foto Ansa EPA/NEIL HALL)

A Wembley il Real Madrid lo fa di nuovo, stavolta contro il Borussia Dortmund, alza al cielo la coppa di Champions, per la quindicesima volta nella storia del club e, insieme al Real, c’è Carlo Ancelotti, Carlo V che, per la quinta volta da allenatore, alza la coppa del campionato europeo più importante per i club. 

Re Carlo V

Dopo il trionfo dell’Atalanta in Europa League e un secondo posto per la Fiorentina in Conference, un pezzo di Italia c’è anche in Champions, ed è un pezzo vittorioso, uno che ha già vinto cinque Champions, uno che è l’allenatore più medagliato di sempre, un certo Carlo V, un magnifico Carlo Ancelotti.

Carlo V se contiamo solo le Champions vinte da allenatore, ma diventa Carlo VII se contiamo anche quelle vinte quando indossava ancora le scarpette. Era il lontano 1988 quando, con il Milan, solleva per la prima volta l’allora Coppa dei Campioni, della quale si ricorda il suo gol segnato con tiro dalla lunga distanza nella semifinale vinta per 5 a 0 contro il Real Madrid. E la storia si ripete nella stagione seguente, quando a Vienna, contro il Benfica porta in casa Rossonera un’altra Coppa dei Campioni.

Appese le scarpette al chiodo, poi, dalla panchina, il suo palmarès si arricchisce sempre di più. Con quella conquistata il primo giugno 2024 ai danni del Borussia Dortmund, Carlo Ancelotti è arrivato a quota cinque Champions League vinte da allenatore, un record assoluto.

Ma partiamo dall’inizio, le prime due coppe arrivano nel club con cui lui stesso aveva avuto la fortuna di alzare la Coppa che sarebbe poi diventata di Champions League. È il 2003 quando in una finale – l’unica finora- tutta italiana tra Juventus e Milan, Carlo Ancelotti sollevava, per la prima volta da allenatore, la coppa dopo il trionfo ai rigori ai danni dei bianconeri. Appena qualche anno dopo, nel 2007, sempre con i rossoneri, può sollevare di nuovo la coppa al cielo contro il Liverpool.

Approdato in Spagna, el señor Ancelotti non perde tempo con la squadra della capitale e disputa subito, nel 2014, la sua quarta finale di Champions League come allenatore. Ma la sola finale non basta: il 24 maggio conquista la sua terza Champions – eguagliando il record di Bob Paisley – e porta il Real Madrid alla storica Décima con una vittoria che arriva grazie a una remuntada iniziata nei minuti di recupero con il pari, al 93′ di Sergio Ramos, per poi dilagare ai supplementari e vincere 4-1. Arriva, poi, il secondo mandato nel Real nel 2022. E anche in questa stagione, nonostante gli alti e bassi dei Blancos riesce a portare a casa la sua coppa numero 6, e la quattordicesima per il club, grazie al goal di Vinicius ai danni del Liverpool.

E sempre Vinicius firma, due anni dopo, l’1 giugno 2024, la seconda rete, dopo quella di Dani Carvajal che ha portato il Real Madrid alla sua quindicesima Champions, stavolta contro un Borussia Dortmund che aveva dominato tutto il primo tempo.

E arriviamo così a 5 Champions solo da allenatore, senza contare le Supercoppe di Spagna, la Liga, le Copa del Rey, i Mondiali per club e tanti, tantissimi altri trofei che, se sommati, diventano 29 trofei da allenatore che fanno, del maestro italiano, il miglior allenatore nella storia delle competizioni, il tecnico italiano più decorato della storia, un’eccellenza del nostro calcio e del made in Italy.

I giocatori del Real Madrid lanciano il loro allenatore Carlo Ancelotti in festa dopo la vittoria della UEFA Champions League. (Foto Ansa, EPA/ADAM VAUGHAN)

Toni Kroos si congeda dal tetto del mondo

«Cosa succederà adesso? Qualcosa sta per succedere. La verità è che abbiamo perso un giocatore molto importante per noi […]. Non avremo Kroos, quindi dovremo giocare in modo leggermente diverso» queste le parole al termine della partita di Carlo Ancelotti, un Ancelotti felice della vittoria, ma con uno sguardo verso al futuro, un futuro senza Kroos, una delle stelle del Real, uno dei migliori giocatori al mondo.

Perché sì, c’è il calcio, e poi c’è il Real, nato sotto una stella vincente e ci sono i giocatori del Real, giocatori che hanno vinto tanto, hanno vinto tutto ma non hanno perso l’umiltà. Giocatori che, all’ultima gara con il proprio club, si avvicinano al proprio allenatore per dirgli grazie, grazie per averlo fatto giocare, grazie per averlo fatto vincere, ancora, giocatori come Toni Kroos.

Perché la notte di Wembley, in realtà, non è stata solo la notte dell’ennesimo trionfo del Real e di Ancelotti, ma è stata anche la notte della nostalgia, del macigno sul cuore di chi ha deciso di dire addio, ai tifosi, al club, ai compagni, a quella che è diventata la sua famiglia. La notte di Wembley è stata la notte di due grandi campioni: Marco Reus e Toni Kroos. Da una parte la stella del Borussia Dortmund, dall’altra quella del Real Madrid: l’uno opposto all’altro nel campo, ma con sentimenti uguali e, come non poteva che essere, con due epiloghi diversi.

E, per chi, un po’ lettore, un po’ romantico, ha mai letto questi versi di Saba, il paragone viene spontaneo. Da una parte, Reus «Il compagno in ginocchio che l’induce, /con parole e con mano, a rilevarsi, / scopre pieni di lacrime i suoi occhi»
Dall’altra, Kroos «Intorno al vincitore stanno, /al suo collo si gettano i fratelli.»

Due campioni, due leggende, una notte con le stesse emozioni, ma con sentimenti contrapposti. Una notte che consacra, qualora ce ne fosse ancora di bisogno, una delle due leggende sul tetto del mondo. Perché Kroos, il tedesco classe 1990, nella sua ultima notte, è entrato ancora di più nella storia del calcio: con diciotto coppe sollevate, è lui il calciatore con più trofei internazionali vinti nella storia del calcio.

Quindi, un addio dal tetto del mondo per Kroos e chissà che, dopo la sua ultima avventura in nazionale, non prenda l’esempio di colui che, con l’arrivo di Mbappé il prossimo anno, si prepara già a diventare Carlo VI.

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