Champagne, la fiction su Peppino Di Capri

A precedere il nome del celebre cantautore italiano Peppino Di Capri, nel titolo dell’opera in onda su Rai1 in prima serata, c’è la parola Champagne: uno dei brani più celebri dell’artista caprese, del quale, nei circa 90 minuti del racconto diretto da Cinzia Th Torrini, viene ricostruita l’infanzia sull’isola meravigliosa di fronte a Napoli, con gli americani a presidiare e il protagonista bambino a esibirsi per loro, col suo talento, il suo orecchio assoluto e l’austerità della sua famiglia caprese. Soprattutto, però, nella fiction prodotta da ‘O Groove in collaborazione con Rai Fiction, ci sono i due grandi amori di Peppino di Capri, all’anagrafe Giuseppe Faiella: quello perturbato per la prima moglie, Roberta Stoppa, e quello successivo per la biologa Giuliana, anche lei sposata in seconde nozze.

In mezzo a questo baricentro più intimo e sentimentale, all’interno di un percorso temporale che va dall’infanzia di Peppino agli anni ’70 (più esattamente dal 1942 al 1973), si ergono le sue canzoni più celebri: da Roberta a Un grande amore e niente più, vincitrice di Sanremo proprio nel 1973, con il testo scritto da Franco Califano. Si passa ovviamente per la Champagne del titolo, mentre l’Italia si affaccia nel film attraverso il programma televisivo Primo Applauso, del 1956, condotto da Enzo Tortora − al quale il musicista partecipò giovanissimo, vincendo un televisore − e molto di più con le immagini del ’68: crocevia importante per la storia del costume italiano.

Un bianco e nero cerniera, sgranato, che dura però pochi istanti, lasciando che il film torni presto a quella miscela di sentimenti e musica che compone il cuore di un biopic ben girato e certamente rafforzato dalla buona interpretazione delle canzoni da parte di Francesco Del Gaudio, il protagonista del film. Ma che inevitabilmente risente del poco tempo a disposizione per contenere i mille aneddoti e le sfumature meno immediate di un personaggio sulla scena italiana per oltre mezzo secolo. Per non parlare del paesaggio culturale in divenire, che avvolge la sua storia e che merita spazio in ogni biografia.
È una questione, e una problematica, un qualche modo endemica nelle biografie televisive composte da una sola serata. È accaduto di recente a quella di Franco Califano, a quella di Margherita Hack e in parte a quelle di Nada, Alda Merini e Gianna Nannini (col film Netflix Sei nell’anima, diretto dalla stessa Cinzia Th Torrini).
In epoca di straordinarie docuserie biografiche (la vetta, per ora, rimane The Beatles: Get Back) sarebbe forse consigliabile la strada “del reale” per raccontare al meglio personaggi con tanto materiale a disposizione (anche di repertorio), il che rende la sfida degli autori ancora più difficile davanti a monografie da piccolo schermo senza tappe. Si trovano costretti a comprimere e sintetizzare storie corpose, di tanti momenti accumulati, col rischio bignami o Wikipedia per immagini dietro l’angolo.
Ma il pubblico di prima serata rimane, probabilmente, ancora più affezionato ai costumi, agli arredi e alle acconciature ricreate, piuttosto che ai sempre preziosi (e davvero comunicativi) materiali d’archivio. Qualche anno fa, erano positivamente di moda le docufiction biografiche, con finzione e documentario alla ricerca di una sperata armonia: quella su Nilde Iotti, per esempio. Poi l’esperimento si è arenato, e la forma fiction pura è tornata in auge. Coi suoi momenti deboli e quelli buoni, come ve ne sono in Champagne – Peppino di Capri, pur con i suoi limiti temporali.
Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre riviste, i corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it