Cézanne e gli amici italiani

Al Vittoriano una rassegna unica nel suo genere. Gli amici italiani del grande pittore francese: da Carrà a Morandi, da Boccioni a De Pisis
Césanne e gli artisti italiani del 900

Mettere a confronto gli artisti è come essere due fratelli a guardarsi allo specchio e scoprire affinità e differenze, ma anche un comun denominatore. Nel caso è l’amore per la natura, ciò che esiste e ci circonda con il suo stesso esserci. La mostra al Vittoriano si avvale per questo scopo di esemplari molto accattivanti. In primo luogo la sfilata delle tele di Cézanne, più che le scure e ancora incerte opere giovanili, delle mirabili “nature morte”: tavoli con tovaglie bianche, frutta e oggetti, dipinti con una tale ricchezza di colore da farsi luce per gli occhi, riposo per la mente, consolazione per lo spirito. Quest’ultima si innalza nella serie di paesaggi, sia quelli aprichi come quelli ombrosi.

Se si guarda una tela come L’interno di foresta del 1885 si resta sbalorditi da come la pennellata abbia rapito la luce, filtrata e rimessa nella tela come a ricreare il fascino ombroso della natura. Se a questa tela si accostano quelle di Giorgio Morandi – il Monte del 1934 e soprattutto il Cortile di via Fondazza del 1958- ci si accorgerà di una straordinaria affinità spirituale fra i due, pur rimanendo ciascuno con la propria personalità. Il Cortile di Morandi è un incantesimo primaverile di colori rosa e bianchi,dove gli alberi fioriti hanno l o stesso struggimento delle case rosate e rimandano appunto al fascino di luce trasparente, limpidissima di Cézanne. I due artisti giungono per la loro strada alla medesima conclusione di luminosità purissima, di sapore e di profumo metafisico.

L’ultimo Cézanne, quello del Paesaggio blu del 1906 così ormai astratto, vaporoso, fluttuante nel blu del mondo si avvicina a Carlo Carrà, paesaggista supremo. Carrà parte con opere sfumate, di immobilità già metafisica come l’Autunno in Toscana del 1927: la natura “sta” come presenza che si pone di fronte a noi e attende di rivelarsi all’osservatore. Come Cézanne, Carrà è pittore di silenzi altissimi, leopardiani e quindi sterminati: basti osservare opere come “Il Sesia”, del 1924: la discesa ondulata di un monte ed un lago calmo. Siamo più che nella realtà, nella sua trasfigurazione. Cézanne è pittore di corpi, dalle flessuose e paniche Bagnanti ai ritratti così stringenti di gente qualunque. Ottone Rosai, risponde ai suoi Giocatori di carte con La partita di carte (1940) fumosa e assorta come si trattasse di una immagine atemporale. Rosai è artista variegato, capace di interni come questo e di nature abbagliate, come La casa a Poggio a Cajano del 1921.

Boccioni è diverso da tutti questi. Si collega a Cézanne per il gusto d’un colore a forti macchie ma i suoi ritratti non forano l’anima, come in Cézanne, ma hanno un pudore che si ferma sulla soglia del ritrattato. De Pisis invece trasforma la pennellata carica del maestro francese i n stilettate filiformi, mentre Pirandello riprende la materia grassa di Cézanne per corpi e cose abbondanti sotto la luce piena o morbida, come fluttuanti nello spazio. Questa è forse la lezione di Cézanne ai mastri italiani. Una nuova concezione dello spazio, non più misurabile, ma tendente all’uscita, al “viaggio” verso un altrove. Il viaggio è appunto alla fine ciò che unifica la via di Cézanne con quella dei nostri autori. Da sé al fuori di sé, verso un altrove. Da non perdere.

Cézanne e gli artisti italiani del ‘900. Roma, Vittoriano. Fino al 2/2 (catalogo Skira)

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