Cessate il fuoco definitivo tra governo colombiano e Farc
La notizia tanto attesa è arrivata: il governo della Colombia e la guerriglia delle Farc hanno firmato il cessate il fuoco bilaterale e definitivo. Siamo ormai alle porte del trattato di pace definitivo che, si spera, sarà firmato a luglio quando saranno stati ultimati i punti dell'accordo tra le parti.
Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki Moon, e i presidenti del Cile e del Venzuela, facilitatori dei negoziati, insieme al ministro degli Esteri norvegese e al presidente cubano Raúl Castro, i cui Paesi hanno fatto da garanti, sono stati a La Avana per la firma del cessate il fuoco.
Ci si domanderà perché non si è firmata la pace definitiva. Le Farc hanno fatto leva sulla necessità di garantire la sicurezza dei propri membri una volta consegnate le armi, processo che sarà verificato e monitorato dall'Onu. I guerriglieri si concentreranno in zone determinate dalle parti, in attesa di definire il resto degli aspetti pratici della loro smobilitazione.
Negli anni '80 e '90, una organizzazione che pure insorse contro lo Stato, l'Unione patriottica, venne sterminata una volta deposte le armi. Le Farc vogliono evitare di essere vittime della violenza dei gruppi armati che hanno preso il posto dei paramilitari di destra, loro acerrimi nemici, e che hanno dato vita alle cosiddette Bacrim (nuove bande criminali). Questi gruppi sono particolarmente attivi in alcune regioni calde, approfittando dell'assenza dello Stato, e stanno facendo strage tra membri di organizzazioni della società civile e di partiti politici, oltre a dedicarsi al narcotraffico e ai sequestri. Non a caso, la firma del cessate il fuoco prevede alcuni punti dedicati proprio alla lotta contro la criminalità organizzata.
La presenza di presidenti di Paesi amici e di figure come Ban Ki Moon, dà comunque risalto all'evento, che ha messo la parola fine a un triste e doloroso capitolo di guerra interna, durato più di 50 anni e che ha provocato 220 mila morti, 4 mila desaparecidos (dispersi) e 6 milioni di profughi dentro e fuori il Paese.
Hanno vinto la costanza e la pazienza. 6 anni sono durati i negoziati, prima riservati e poi pubblici (questa fase si svolge da quasi 4 anni a Cuba) per giungere a una definizione degli aspetti legati al conflitto. Un processo che forse avrebbe avuto bisogno di una maggiore pedagogia, da parte del governo, soprattutto per vincere lo scetticismo interno che ha fatto dubitare un importante settore dell'opinione pubblica che sarebbe stato possibile arrivare alla pace.
Si volta dunque pagina. Ma non tutto è fatto. Oltre alle pericolose Bacrim, siamo ancora agli inizi per giungere a un accordo anche con l'altra guerriglia attiva nel Paese, l'Eln, Esercito di liberazione nazionale. Comincerà poi anche la battaglia politica per l'affermazione del voto a favore della pace nel referendum che dovrà legittimare l'accordo tra governo e Farc. Ma sembra si possa sperare in un esito positivo, di fronte a un risultato tanto atteso. E nel frattempo i colombiani dovranno lottare per un Paese meno disuguale, che offra alla maggiore quantità possibile di cittadini opportunità di sviluppo. La Colombia possiede enormi possibilità di crescita (si stima che la pace aggiungerà un 2% al Pil nazionale, che quest'anno crescerà intorno al 3-3,5%), ma è anche uno dei più disuguali della regione, con una fortissima concentrazione del possesso della terra coltivabile e una grave assenza dello Stato nelle zone lontane dai centri abitati.
Queste le sfide immediate. Ma, intanto, la storia ha aperto un capitolo nuovo sotto il segno della pace.